Siamo tutte Valeria Valente: l’appello di centinaia di attiviste contro chi cerca di silenziare le donne
- Postato il 8 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Sono 64 le organizzazioni, tra le quali alcune reti di associazioni femministe (D.i.Re donne in rete contro la violenza, il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, Udi) sindacati, ecc. che hanno aderito all’appello Siamo tutte Valeria Valente, a sostegno della senatrice per gli attacchi ricevuti dopo aver legittimamente criticato l’apertura dello Sportello per uomini maltrattati al Municipio VI di Roma.
La sua pagina Facebook è stata allagata da un fiume d’odio. Era accaduta la stessa cosa, un anno fa, alle attiviste D.i.Re perché avevano criticato i manifesti affissi a Napoli che offrivano (e offrono) consulenze legali a uomini vittime di violenza con la promozione di un indirizzo mail che riportava il numero 1523. La somiglianza, voluta, con il numero 1522 aveva suscitato le proteste di alcune associazioni femministe. D.i.Re le aveva sostenute ma la rabbia degli odiatori non si era fatta attendere. A mettere in moto questi sciami di violenza verbale sono gruppi ben organizzati sui social che gestiscono pagine che negano il femminicidio esprimendo odio per le donne. Tra gli amministratori di alcune pagine, ci sono non di rado uomini condannati per stalking o maltrattamenti sulle ex compagne.
Secondo la mappa dell’intolleranza di Vox, Osservatorio italiano dei diritti, le donne sono destinatarie della metà delle persone colpite da hate speech: i picchi di odio sono stati rilevati in concomitanza con i femminicidi e le emergenze politiche. Vox rileva che ad essere preso di mira è spesso il corpo delle donne, mentre la misoginia è in aumento: del resto i social sono il riflesso della società e della cultura di questo Paese e anche questa ricerca conferma che esiste una forte asimmetria tra uomini e donne sia nell’odio online che nelle relazioni. La rabbia contro le attiviste crea un clima di intimidazione che ha l’obiettivo di limitare la loro presa di parola pubblica.
Le critiche all’iniziativa del Municipio VI fatte da Valeria Valente sono più che condivisibili. Non si nega che esista una violenza nei confronti degli uomini da parte delle donne, ma non è sistemica e non è il prodotto di una storica disparità di potere che riproduce continue asimmetrie. Da quando l’attenzione sulla violenza maschile nelle relazioni di intimità richiede un cambiamento culturale, c’è la tentazione di dare un colpo di spugna. La tendenza a neutralizzare la denuncia sulle discriminazioni che colpiscono le donne si è fatta più forte con una contronarrazione manipolativa per rendere speculare violenza maschile e femminile nelle relazioni di intimità.
Tentativi come questi sono avvenuti anche in passato. L’indagine sulla violenza subita dagli uomini, condotta dall’Università di Siena nel 2012, aveva fra i suoi quesiti il seguente: “È capitato che una donna abbia iniziato con te i preliminari di un atto sessuale, per poi rifiutarlo senza fartene comprendere il motivo?” spacciando la mancanza di consenso della partner come una forma di violenza sessuale (lo stupro sarebbe una legittima difesa in caso di rifiuto “immotivato”?).
Peraltro è abbastanza singolare che il Municipio VI ponga tra le violenze contro gli uomini la alienazione parentale, ritenuta dalle relatrici speciali Onu (e non solo) fonte di vittimizzazione delle donne che denunciano violenza. Una recente ricerca di Women’s Aid ha messo in correlazione la teoria della alienazione parentale e l’assassinio di 67 bambini per mano di padri violenti – in Italia ne sono stati uccisi 5 – che ne avevano ottenuto l’affido, nonostante le denunce di violenze. Il Municipio VI a chi sceglierà di dare sostegno?
E’ altrettanto singolare che i promotori dello sportello denuncino l’esistenza della violenza contro gli uomini senza specificare che la stragrande maggioranza delle violenze commesse sugli uomini è agita da altri uomini (sono l’85,4% degli autori di violenza sessuale e il 94,4% autori di omicidi – indagini Istat). Si tratta di una violenza legata a rigide norme di genere e a gerarchie di potere, ma questo viene omesso dal Municipio VI per disonestà intellettuale o pressappochismo.
I dati del ministero degli Interni, della Giustizia e dell’Istat ci dicono che gli uomini, nel 2018, rappresentano l’82,41%2 dei 500mila autori di reati per i quali è stata aperta una procedura penale nel corso di un anno, l’85,1% delle persone condannate dalla giustizia, il 92% degli imputati per omicidio, il 98,7% degli autori di stupri, l’87% dei responsabili di abusi su minori e il 93,6% degli imputati per pornografia minorile. La violenza maschile pervade la nostra società e viene costantemente estetizzata e normalizzata. Il motivo? E’ funzionale a riprodurre dinamiche di potere. Le donne, invece, sono uccise nel 90% nel contesto familiare ed endo-relazionale da un uomo (nel 57,4% si tratta del partner, nel 12,7% l’ex partner, le restanti percentuali sono occupate da padri, figli e altri parenti maschi della famiglia). I dati Oms ci dicono che se l’autore delle uccisioni di uomini e donne nel 93,3% dei casi è un uomo, gli omicidi commessi da donne sono il 6,7% del totale.
Clarice Carassi, avvocata e presidente di Trama di Terre, commenta: “Quello del Municipio VI non è il primo tentativo di considerare la violenza nei confronti degli uomini al pari di quella agita nei confronti delle donne. Una iniziativa che ha il demerito di negare la specificità della violenza contro le donne, con evidenti gravi ricadute sulla comprensione, implementazione e applicazione del piano di contrasto. Richiamo la Convenzione di Istanbul, la Cedaw, ma anche l’ultima direttiva europea in tema di violenza contro le donne e la normativa interna”.
E’ intervenuta sulla questione anche Elena Biaggioni, avvocata della rete D.i.Re: “Strano leggere di discriminazione contro gli uomini o di istigazione all’odio. Vorrei ricordare a chi vuole approfondire che l’Italia, nel caso Talpis, è stata condannata proprio per discriminazione contro le donne. Una procedura che è ancora aperta e sotto osservazione rafforzata, forse rileggersi la sentenza sarebbe un buon punto di partenza per una informazione corretta”.
@nadiesdaa
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