Stadi, quando i sold out sono bluff: è il grande circo dei concerti!
- Postato il 18 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Negli ultimi giorni ho scritto un post. Ironico, cattivo, vero. Parlava di Beyoncé, di biglietti regalati, di stadi mezzi vuoti spacciati per trionfi. Un post come tanti, a prima vista. Ma le reazioni — veementi, isteriche, colpevolmente rivelatrici — mi hanno confermato che il bersaglio era centrato. Perché non parlavo solo di Beyoncé. Parlavo di un intero sistema. E oggi, mentre scrivo questo articolo, mi arriva tra le mani un testo firmato da Federico Zampaglione. Non è un post, è una sceneggiatura. Tragica. Grottesca. Reale. Il racconto di come funziona davvero il grande circo dei concerti, delle carriere pompate, dei finti sold out, delle illusioni a pagamento. Non è un caso isolato. È la prassi. Un sistema che sta crollando. Ma continua a sorriderci dalla copertina di un merchandising.
Nei consueti nove punti di questo blog, voglio oggi raccontare il sistema che vedo. Non per attaccare qualcuno, ma per difendere qualcosa: il pubblico, l’intelligenza, la musica.
Cominciamo.
1. Il biglietto della regina
Quando Beyoncé regala i biglietti, il mondo applaude. Generosità, inclusione, cuore.
Nessuno dice la parola vera: panico. Panico da prevendite fiacche, da piantine troppo verdi su Ticketmaster. Panico da storytelling che rischia di crollare. E allora via con l’operazione di buon cuore: la regina apre le porte del suo regno ai miseri, ai devoti, ai disperati col telefono in mano. Che entrino pure — purché riempiano l’inquadratura. L’arena non può restare vuota. Non per lei. Non per nessuno.
2. Il post che ha fatto rumore
Il mio post nasceva da lì. Una provocazione — feroce ma onesta — che ha scatenato commenti indignati, difese affannate, controargomentazioni che in realtà – a mio avviso – confermavano tutto. “Io l’ho comprato a 10 euro”, “Tu non la conosci, ha fatto tanta beneficienza nella sua vita”, “Anche altri lo fanno”. Esatto. È proprio questo il punto. La regola travestita da eccezione. Il sistema che tutti vedono, ma che nessuno vuole chiamare col suo nome: finzione.
3. Il sold out modulabile
San Siro tiene 85.000 persone. Ma oggi basta venderne 45.000 per gridare al sold out. Stadio “modulabile”, lo chiamano. Un eufemismo comodo per nascondere vuoti imbarazzanti sotto la coperta corta dell’immagine. Mezzo pieno? No: pieno quanto basta. Per farlo sembrare. Per poterlo dire. Per scrivere “trionfo” nel comunicato stampa e nel compiacimento della stampa asservita. Il resto lo fanno i droni e i fuochi d’artificio.
4. La sceneggiatura di Federico
Federico Zampaglione dei Tiromancino proprio oggi ha scritto un post su Facebook che è una sceneggiatura perfetta. Andatevela a leggere, ne vale la pena. Dentro c’è tutto: l’illusione, la pressione, il bluff, la retata di biglietti regalati, l’agenzia che ti copre di inviti mentre ti svuota il portafoglio. Il finale è tragico: l’artista resta incastrato. La faccia è sua, la sconfitta è sua, il debito pure. Il promoter se ne va. Ha già altri tre eventi con il “vero” sold out. Virgolette incluse.
5. Il grande salto (nel vuoto)
Il problema non è il flop. È che oggi non si può floppare. Non è ammesso. L’immagine è tutto, e se la leghi alla parola “fallimento”, salta tutto il pacchetto: sponsor, brand, booking, percezione. Allora si inventano successi, si gonfiano numeri, si impacchettano illusioni. E l’artista, spesso giovane, spesso ingenuo, accetta. Perché in un mondo dove l’immagine vale più del pubblico, non può permettersi di dire no.
6. L’artista che lo sa (e ci sta)
C’è un momento in cui l’artista capisce che il tour, oppure l’evento, è un bluff. Lo sa. La piantina è verde, l’eco del sold out è solo fumo. Eppure ci sta. Per ego, per paura, per contratto. Sorride, ringrazia, rilancia. E in quel momento tradisce il suo pubblico. Ancor prima di tradire se stesso. Perché non ci crede nemmeno lui, ma sa che basta fingere. Se l’inquadratura è giusta, se il feed regge, se la stampa collabora… tutto funziona. Anche la bugia.
7. I fan, il feed, il feticcio
Una volta si andava ai concerti per sentirsi parte di qualcosa. Oggi si va per esserci. Per dire “io c’ero”, per postare, per taggare. Poco importa se i biglietti, spesso sotto traccia, sono regalati, scontati, distribuiti da società ingaggiate per riempire. Il punto non è più il valore. È l’apparizione. Il feed batte il palco. Il like batte l’ascolto. Il feticcio dell’evento è più potente della musica stessa. E il sistema ci sguazza.
8. Il pubblico somaro
Il vero miracolo non è il sold out. È aver addestrato il pubblico a crederci: il palco, il pathos, il successo. È un pubblico somaro, per abitudine e anche per ignoranza, visto che di musica, spesso, non capisce nulla. Quel che non sa — e forse non vuole sapere — è che durante le prove, lavorare sui suoni non è più la priorità. Gran parte del tempo è dedicata a testare le frasi giuste da dire sul palco. “Su le mani”, “tirate fuori i telefoni”, “vi amo da sempre”: non sono gesti spontanei, ma segnali codificati, provati, che servono allo staff per luci, effetti, riprese. Tutto è coreografato. Anche le emozioni suscitate, opportunamente riprese. Ma davvero credevi a tutta quella empatia, a tutti quei cuoricini?
9. L’ultima bugia
Tutto esaurito, dicono. Anche la dignità? Quella la puoi trovare soltanto in una forma: nel coraggio spudorato di prendere per il culo la gente. Ma la cosa più inquietante è che funziona. Che la folla applaude, anche quando intuisce la farsa. Una farsa che – come detto – certa stampa sostiene, anche quando sa. E gli artisti in tutto questo? Molti calano le braghe. Perché tra il vuoto e l’illusione, oggi si sceglie l’illusione. Pagando — a volte — il prezzo più alto: la credibilità. E La musica in tutto questo? Non conta niente.
Come sempre, questo blog si chiude con una connessione musicale: una playlist dedicata che puoi ascoltare gratuitamente sul mio canale Spotify — la trovi qui sotto. Se ti va, puoi lasciarmi nei commenti la tua opinione su quello che hai letto, su quello che hai ascoltato, oppure raggiungermi sulla mia pagina pubblica Facebook collegata al blog.
La conversazione, da quelle parti, continua…
9 canzoni 9 … per contare qualcosa
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