Stavolta le nove canzoni le sceglie (e le suona) Morgan

  • Postato il 27 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Ci sono artisti che non si gestiscono, si attraversano. Morgan è uno di questi. Doveva essere un dialogo in nove canzoni dedicate agli anni Ottanta: un confronto tra memoria, estetica e suono. È diventato invece un esperimento di improvvisazione pura, un esercizio di fiducia tra disordine e armonia. Dentro la diciannovesima edizione de Il Rumore del Lutto Festival, nel cuore di Parma, l’incontro presso La Casa della Musica, ha preso vita da sé. Nulla di preparato, tutto necessario.

Nei consueti nove punti di questo blog voglio raccontare com’è andata, e perché, a volte, il disordine sa essere più fedele della forma.
Cominciamo.

1. Il progetto
L’idea iniziale era limpida: il motore di questo blog, 9 canzoni 9 live, un dialogo tra parole e musica. A Morgan avevo chiesto di scegliere nove brani che potessero, in qualche modo, rappresentarlo: nove canzoni specchio, capaci di raccontare la sua formazione, le sue ossessioni, la sua idea di bellezza. Gli anni Ottanta erano il perimetro naturale, la lingua in cui si esprime forse meglio; quel decennio resta il suo alfabeto emotivo e intellettuale. Doveva essere un viaggio nella memoria. Invece, sul palco, si è trasformato in un esperimento di libertà assoluta. Alla ricerca della verità.

2. Il pianoforte
Le nove canzoni dovevano arrivare da una chiavetta, nelle loro versioni originali, e Morgan avrebbe dovuto commentarle. Un percorso ragionato, quasi una lezione d’ascolto attraverso il suo sguardo. Poi accade qualcosa. Alla Casa della Musica, la presenza di un pianoforte Steinway diventa occasione e pretesto: da semplice supporto a detonatore creativo. Morgan decide che quelle canzoni le avrebbe suonate lui. Da quel momento si fa strada l’ipotesi che l’incontro con Morgan sarebbe diventato, né più né meno, un suo concerto.

3. Il rischio
Morgan arriva poco prima dell’inizio, chiede un Moscato d’Asti e una quattro stagioni, poi comunica con disarmante naturalezza che l’incontro sarebbe stato condiviso: non un suo concerto, ma un dialogo in tempo reale. Sarebbe quindi stato recuperato l’impianto originario delle nove canzoni, ma in forma del tutto improvvisata. Una precisazione necessaria: nell’archivio mentale di Morgan non esistono nove canzoni, bensì novemila novecentonovantanove e più. L’improvvisazione, per lui, è un linguaggio ordinario, un metodo di conoscenza. Non per chi lo accompagna sul palco. Anche conoscendo la materia, trovarsi a dialogare con lui davanti a una sala gremita resta un’esperienza che non si improvvisa.

4. L’imprevisto come regola
Morgan trasforma la scaletta in una costellazione di intuizioni: frammenti, ricordi, improvvisazioni che scorrono come un flusso unico. Il pianoforte diventa un’estensione del pensiero, una macchina del tempo che riporta agli anni Ottanta con libertà assoluta. Si passa dai Duran Duran ai Depeche Mode, da Battiato ai Culture Club, senza soluzione di continuità. Ogni brano è un pretesto per aprire una finestra su un’epoca e insieme su sé stesso. Il tono oscilla tra confessione e gioco, tra ironia e verità. Tutto procede in una centrifuga impazzita di suoni e visioni dove l’unica regola è non averne.

5. La rotta ritrovata
L’apertura spiazza. Le sue parole, vere e necessarie, parlano del presente: della Palestina, della politica, dei grandi e dei cattivi che governano il mondo. Un’introduzione densa, lucida, quanto vera e condivisibile, che però rischia di incanalare la serata in un registro inatteso. Con qualche intuizione e un guizzo di ironia, la rotta si è ricomposta sulla superficie di quel palco, ritrovando il filo degli anni Ottanta. Tra inattese risate e una complicità spontanea, l’atmosfera si è distesa. E da lì in avanti, la serata ha trovato il suo ritmo: imprevedibile, ma perfettamente coerente con lui.

6. Il flusso sonoro
Quando il dialogo cede alla musica, tutto si accende. Morgan al pianoforte entra nel suo elemento naturale: il suono come estensione del pensiero. Le nove canzoni diventano nove possibilità, continuamente riscritte, deformate, intrecciate tra loro. Duran Duran, Depeche Mode, Battiato, Spandau Ballet, Culture Club: citazioni e improvvisazioni si rincorrono in un flusso continuo, privo di gerarchie. L’ironia si alterna all’intensità, il virtuosismo alla fragilità. Ogni brano si apre a un altro, come se il tempo non fosse mai passato. È la dimostrazione che la memoria, quando vibra, non è un archivio ma una corrente: e in quella corrente, Morgan nuota come pochi altri sanno fare.

7. L’intesa
Con il passare dei minuti la distanza si assottiglia. Il flusso diventa dialogo, la musica trova spazio tra una parola e l’altra. Morgan alterna riflessioni improvvise a frammenti di melodia, scivola dall’ironia alla confessione senza preavviso. Sul palco si crea un equilibrio fragile ma reale, una complicità fatta di gesti più che di accordi. Il ritmo nasce dall’ascolto reciproco, dall’attenzione invisibile a ciò che l’altro non dice. È un’intesa che non si costruisce: accade. E quando accade, tutto si allinea. L’arte torna alla sua funzione primaria — essere incontro, rischio, e, per un attimo, perfetta sospensione.

8. Il pubblico
La Sala della Musica è gremita. I presenti comprendono presto che stanno assistendo a qualcosa che sfugge ai canoni del concerto e dell’intervista. Ogni deviazione, ogni battuta, ogni citazione viene accolta come parte di un disegno imprevedibile ma coerente. Si ride, ci si emoziona, si resta in ascolto. Non c’è distanza tra chi suona e chi ascolta: il confine semplicemente non esiste. È il privilegio raro dell’imprevisto riuscito, quando le aspettative si dilatano fino a dissolversi e si comincia a godere del fatto che qualcosa, lì, sta semplicemente accadendo. In quella reciprocità, la musica torna esperienza collettiva.

9. La purezza
A fine concerto ho chiesto al pubblico di fargli sentire quanto gli vogliamo bene. È stato un boato, una piccola esplosione di affetto che ha riempito la sala e che Morgan, emozionato, accoglie in silenzio. Morgan per me è un puro, uno dal cuore pulito: un artista che cerca verità più che consenso, che inciampa nella sua stessa passione ma non la tradisce mai. Su quel palco ha suonato sé stesso. E a tutti noi questa sera ha ricordato che la purezza, può diventare una condanna. Ma che la si può mostrare fieramente, perché il coraggio sconfigge la paura. Sempre.

Come sempre, chiudo con una connessione musicale: una playlist dedicata, disponibile gratuitamente sul mio canale Spotify (link qui sotto). Se vuoi dire la tua, fallo nei commenti — o meglio ancora sulla mia pagina Facebook pubblica, collegata a questo blog. È lì che il dibattito continua, tra post, risposte e derive imprevedibili. E sì, si leggono davvero di tutti i colori.

Buon ascolto. E, come sempre, buona lettura.

9 Canzoni 9… Pure

Crediti fotografici: Elisa Magnoni Photo

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Il Fatto Quotidiano

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