Strage di Graz, attribuire la colpa al bullismo subito può alimentare due pericolosi equivoci

  • Postato il 14 giugno 2025
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di Cristian Pagliariccio*

L’Austria ha proclamato tre giorni di lutto nazionale per quanto accaduto a Graz: un ventunenne è tornato nella sua ex scuola ed ha ucciso dieci persone, ferendone altre, prima di togliersi la vita. Alcuni media austriaci hanno ipotizzato che un possibile movente potesse essere il bullismo, subìto dall’aggressore quando era più giovane.

Non commenteremo i fatti. Quando ci sono vittime, anche se lontane, il rispetto emotivo è una priorità. Ci soffermeremo, invece, su quanto avvenuto in Italia a partire dall’ipotesi del movente: una serie di dibattiti scorretti sul bullismo.

È bene ricordare, infatti, che ridurre un atto di violenza così estremo a una singola causa interpretativa rappresenta un errore pericoloso. Il bullismo subìto è certamente una fonte di dolore per le vittime e può essere uno dei fattori di rischio significativi per lo sviluppo di disturbi psicologici e comportamenti antisociali. Tuttavia, ci sono migliaia di persone che hanno subìto il bullismo e non hanno mai compiuto gesti estremi. La violenza estrema nasce dall’interazione complessa di molteplici fattori, amplificati da credenze personali e dalla cultura di riferimento della persona che la compie.

Quando a livello mediatico e social attribuiamo una sola causa ad eventi complessi, pertanto, creiamo una narrazione distorta in cui il carnefice diventa una vittima e trova comprensione per i suoi crimini.

Questo può alimentare due pericolosi equivoci. Il primo è far passare il messaggio che subire il bullismo renda le persone violente, generando stigma e diffidenza ingiustificati. Ciò può alimentare il distanziamento dalle vittime, favorendone l’isolamento anziché il supporto. Il secondo è insinuare che il bullismo subìto possa giustificare la violenza. Questa narrazione può essere assunta come valida da chi vuole compiere la violenza, talvolta in modo non del tutto cosciente, per autogiustificarsi e mettere in atto le violenze.

Come società, quindi, abbiamo la responsabilità di costruire narrazioni valide, anziché semplicistiche. Per fare questo, potremmo considerare tre proposte.

La prima riguarda l’etica nei media. Si basa sul fatto che esistono migliaia di storie di persone che hanno trasformato esperienze di sofferenza (non volute) in opportunità di crescita, impegno sociale o aiuto verso altri. Queste storie, anche se non eclatanti, potrebbero trovare un maggiore spazio, per migliorare la cultura emotiva di massa.

La seconda punta a regolare meglio i commenti social dei fatti che riguardano uccisioni, in segno di rispetto per le vittime e i loro familiari. Per evitare che il fare e ricevere commenti sia più importante del rispetto verso il dolore di un lutto, per questioni di profitto e visibilità, si possono pensare leggi specifiche. Una possibilità concreta, pertanto, consiste nell’impedire i commenti nei primi tre giorni della notizia, in segno di lutto.

Sul versante scolastico, infine, è utile ricordare le indicazioni che la Direzione Generale per l’Istruzione, la Gioventù, lo Sport e la Cultura della Commissione Europea ha dato nel 2024 con le “Linee guida per dirigenti scolastici, insegnanti ed educatori”: la salute mentale deve essere uno degli obiettivi espliciti della scuola, al pari dell’istruzione. Adottare questo obiettivo aiuterebbe le persone e la società ad avere maggiore potere per affrontare le situazioni di vita, oltre che per portare avanti narrazioni adeguate.

*psicologo, specialista nelle tematiche legate al bullismo

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Il Fatto Quotidiano

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