Trump doveva portare la pace: ora aggressività e autolesionismo sono sintomi di un’America al crepuscolo

  • Postato il 24 ottobre 2025
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di Roberto Iannuzzi *

Presentatosi alle presidenziali come un “candidato di pace” che voleva chiudere il capitolo dell’avventurismo americano all’estero, il presidente Donald Trump ha invece impostato un mandato all’insegna di minacce militari e ricatti commerciali.

Il suo slogan “America First” si è in effetti tradotto in un maldestro tentativo di ristabilire l’egemonia americana su un mondo che è ormai sempre più inequivocabilmente multipolare. Tale tentativo si è concretizzato in una serie di azioni belliche inconcludenti (nello Yemen, in Iran) quanto sanguinose (il sostegno allo sterminio israeliano a Gaza), a cui sono seguite le recenti minacce al Venezuela.

In Ucraina, dove Trump ha cercato di persuadere la Russia ad accettare un congelamento del conflitto piuttosto che una sua reale soluzione, la pace rimane lontana quanto la possibilità di un’affermazione militare occidentale.

Sul fronte economico, la guerra dei dazi avrebbe dovuto persuadere gli altri paesi a stringere accordi commerciali e investimenti vantaggiosi per gli Stati Uniti allo scopo di evitare la tagliola delle tariffe. L’obiettivo della Casa Bianca era ridare ossigeno all’economia e alle disastrate finanze americane. Malgrado le entrate derivanti dai dazi, il debito nazionale statunitense ha toccato i 38 trilioni di dollari, essendo salito di 11 trilioni in cinque anni. L’ultimo balzo di un trilione lo ha compiuto in soli due mesi e mezzo.

Si tratta di una crescita insostenibile anche per una superpotenza come quella americana che può stampare dollari a piacimento. Nel frattempo, molti paesi hanno cominciato a ribellarsi ai ricatti di Washington, a cominciare dalla Cina che ha risposto colpo su colpo ai dazi e alle altre limitazioni imposte dagli Usa.

Le recenti restrizioni cinesi all’esportazione di terre rare, e delle tecnologie necessarie per processarle, conferiscono di fatto a Pechino un potere di veto su tre catene di fornitura cruciali: semiconduttori avanzati, veicoli e droni a batteria, ed alcuni processi produttivi di precisione. In pratica, la Cina sta ritorcendo contro Washington le restrizioni Usa all’esportazione di semiconduttori.

La misura cinese, oltre a creare problemi alle industrie statunitensi della difesa, può infliggere un altro duro colpo al già traballante boom dell’intelligenza artificiale (IA), altro supposto cardine dell’agognata rinascita americana. Secondo il Financial Times, le centinaia di miliardi di dollari che le compagnie statunitensi stanno investendo nell’IA contribuiscono a un incredibile 40% della crescita del Pil Usa di quest’anno. Senza questo contributo, l’economia americana sarebbe già stagnante.

Ma tali investimenti non stanno ottenendo né i profitti né gli aumenti di produttività sperati. Intanto, i “magnifici 7” – Nvidia, Microsoft, Alphabet, Apple, Meta, Tesla e Amazon – costituiscono ormai il 35% del valore del mercato azionario Usa, che non è mai stato concentrato in un numero così esiguo di azioni. Se questa bolla, di cui ormai tutti riconoscono l’esistenza, dovesse esplodere, le ricadute per l’economia statunitense potrebbero essere disastrose.

Dal canto suo, il Ceo di Nvidia Jensen Huang ha riconosciuto che le restrizioni all’esportazione di microchip verso la Cina sono state una delle decisioni più autodistruttive mai prese da un governo americano, avendo fatto crollare la quota di mercato della sua compagnia dal 95 verso lo 0% in Cina. In tre anni, dall’introduzione di tali restrizioni nel 2022, esse sono divenute un catalizzatore che ha accelerato in maniera impressionante lo sviluppo delle catene di fornitura e delle startup cinesi per la produzione di microchip.

Ma le misure “boomerang” di Washington non finiscono qui. Recentemente, pressioni Usa hanno spinto il governo olandese a prendere il controllo del produttore di microchip Nexperia, di proprietà cinese. La decisione di calpestare i diritti di proprietà non solo compromette la credibilità e l’attrattività dell’Europa agli occhi degli investitori stranieri, ma ha attirato l’ovvia ritorsione di Pechino che ha estromesso la compagnia dalle proprie catene di fornitura.

Oltre a decretare forse la morte di Nexperia, tale ritorsione crea seri problemi di approvvigionamento all’Europa e perfino agli Usa, visto che questa azienda produceva decine di miliardi di microchip all’anno. Ma Washington continua a mostrarsi forte con i deboli (nel summenzionato caso, l’Europa) e debole, oltre che autolesionista, con i forti.

La guerra commerciale con Pechino si è rivelata fallimentare. I dazi contro Nuova Delhi hanno irritato un alleato chiave in Asia, e un potenziale contrappeso alla Cina. In Ucraina Trump minaccia ora il presidente russo Putin (attraverso la ventilata consegna di missili Tomahawk a Kiev, al momento fortunatamente ritrattata), ora l’omologo Zelensky (l’ultimo incontro fra i due sarebbe stato burrascoso) senza ottenere risultati.

E nei Caraibi la sua amministrazione continua a ordinare omicidi extragiudiziali di presunti trafficanti di droga. All’accusa del presidente colombiano Gustavo Petro di aver violato la sovranità del paese uccidendo un semplice pescatore, Trump ha risposto che avrebbe tagliato gli aiuti a Bogotá. Quegli stessi aiuti che contribuiscono alla lotta al narcotraffico del governo colombiano, che dovrebbe stare a cuore a Washington.

*Autore del libro “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana” (2024).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

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