Trump ha incontrato Putin per un riassetto dei rapporti. Mentre la sottomissione Ue è umiliante
- Postato il 20 agosto 2025
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di Matteo Bortolon
Sono passati poco più di sei mesi dall’entrata di carica di Trump alla presidenza Usa, e in questa estate due distinti incontri costituiscono la cifra simbolica di questo primo semestre: l’incontro del capo di Stato statunitense con Ursula von der Leyen del 27 luglio e col presidente russo Putin il 15 agosto in Alaska.
Si potrebbe pensare che si tratti di due punti di assestamento delle sue due principali direttive politiche: la guerra dei dazi (almeno rispetto alla Ue) e un diverso atteggiamento verso la Russia e la guerra in Ucraina. Ma a ben vedere si tratta di qualcosa di più e qualcosa di meno al tempo stesso.
Le trattative con Putin non riguardano solo la guerra; si tratta di un riassetto generale dei rapporti col resto del mondo, in cui si focalizza lo scacchiere del Pacifico e la potenza cinese come principale obiettivo. Fra i molti segnali in tal senso, il Washington Post ha rivelato a marzo il contenuto di un documento del Pentagono che individua come obiettivo prioritario l’indo-Pacifico, lasciando agli alleati il presidio delle altre aree.
A febbraio la nuova amministrazione era già partita in quarta con la telefonata del Presidente a Putin e il discorso del segretario alla Difesa Hegseth: “Siamo anche qui oggi per esprimere direttamente e senza ambiguità che dure realtà strategiche impediscono agli Stati Uniti di concentrarsi primariamente sulla sicurezza dell’Europa”.
Emerge così il tema più ristretto: nella nuova traiettoria strategica l’Europa non ha più lo stesso ruolo di un tempo. Pochi giorni più tardi il vicepresidente Vance infatti faceva un’altra doccia fredda alle classi dirigenti europee, rimarcando il crescente autoritarismo e la censura nel Vecchio Continente. Se esse fino a ieri erano ubbidientemente allineate a Biden nella crociata contro la Russia in nome della difesa della democrazia e della civiltà, oggi faticano a tenere il passo col “nuovo sceriffo”.
Che tale convergenza fosse una alleanza fra padrone e subordinati era già noto da tempo, anche se si cercava di mascherarlo con discorsi educatamente edulcorati. Il politologo norvegese Glenn Diesen ha recentemente ricordato la confidenza di un ex alto funzionario Usa secondo cui alla Casa Bianca si scrivevano su delle lavagne i nomi dei leader europei, assieme alla loro inclinazione pro-Usa, e si decideva chi far emergere.
Tale subordinazione è diventata una sottomissione umiliante. Il vertice in Alaska ha gettato nello sconforto le classi dirigenti europee, da tempo sulla linea della criminalizzazione della Russia su basi meramente moraliste (e pure ipocrite, si veda il diverso atteggiamento con Israele). Adesso una sorta di nuova Yalta vede come protagonista proprio l’odiato zar! Inutilmente si sono precipitati in massa a Washington a fare da scorta a Zelensky. Risultati piuttosto scarsi, con l’ulteriore umiliazione che Trump ha interrotto l’incontro per contattare Putin…
Uno dei principali paradossi è che l’europeismo ci aveva promesso la promozione della pace e autonomia dagli Usa, invece oggi la Commissione si può guadagnare la medaglietta dell’organo più catastroficamente prono a Washington. Per cui l’inutile presenza di von Der Leyen ha almeno il senso di suggellare una subordinazione sempre più accentuata, al cui confronto Chirac sembrava De Gaulle.
Chi si mette nella posizione del servo non può lamentarsi se viene trattato in quanto tale. La postura orgogliosamente sbandierata verso il trumpismo si vaporizza a contatto con la realtà: per manifestare la loro autonomia gli europei vedono bene di fare… quello che vogliono gli Usa: armarsi e sostenere l’Ucraina.
Trump aveva già reso chiaro a Zelensky chi comanda. Infatti oggi l’ucraino si presenta vestito a puntino e tutto dimesso. Il suo inutile drizzare la cresta a febbraio scorso era costato un temporaneo stop del sostegno Usa, incluse le informazioni di intelligence, dopo la strigliata dell’iracondo Donald. Lezione ricevuta.
Dopo l’accordo sui dazi (in cui Trump ha ottenuto tutto quel che voleva) Ursula arriva al seguito, non come informale capofila, ma come un comprimario fra gli altri della “Coalizione dei Volenterosi”. Qualcuno si dovrebbe ricordare che tale dizione venne usata per un raccogliticcio novero di paesi che sostenne l’invasione dell’Iraq nel 2003 – fra cui comparivano Stati che praticamente non hanno un esercito.
I “Volenterosi” di oggi l’esercito ce l’hanno ma non sono così volenterosi da inviarlo contro i russi. Del resto un conto è un conflitto con truppe banditesche senza armi pesanti, un altro contro un esercito di livello. Al che giù articoli sconsolati sull’assenza di virtù marziali della gioventù europea che inspiegabilmente non ha voglia di farsi triturare per dare ai loro politici i titoli di “grandi difensori della democrazia” – quella ucraina, poi.
Oggi è veramente un crepuscolo europeo, speriamo solo che quella manica di inconsistenti non ci porti nella notte.
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