Un figlio mai nato, la perdita di un animale, una nuova identità: ci sono lutti a cui dare dignità
- Postato il 3 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ci sono dolori che restano nell’ombra. Dolori che non trovano spazio, che non vengono riconosciuti, che vengono messi a tacere. Sono i dolori dei lutti delegittimati, quelli che la società considera “non abbastanza importanti” da meritare attenzione, empatia, o anche solo un gesto di conforto. Ma il dolore non si misura con il metro del riconoscimento sociale: quando si perde qualcuno o qualcosa di significativo, quel vuoto esiste, e chiede ascolto.
Il termine disenfranchised grief, introdotto dallo studioso Kenneth Doka, si riferisce proprio a questo tipo di lutto: un lutto che viene privato di legittimità. Può accadere in molti modi. Pensiamo alla morte di un ex partner, di un’amica o di un amico intimo mai “ufficializzato”, di una persona amata in segreto. Ma anche alla perdita di un animale domestico, di una persona famosa che ha segnato la nostra vita, o alla fine di una relazione importante vissuta da una persona anziana, a cui spesso non si riconosce il diritto all’amore e quindi al dolore.
Ci sono poi i lutti legati a esperienze stigmatizzate: il suicidio, l’overdose, l’interruzione volontaria di gravidanza. O ancora, i lutti che coinvolgono relazioni non conformi alle aspettative sociali: partner dello stesso sesso, legami extraconiugali, famiglie “non tradizionali”.
Un’altra forma di lutto delegittimato è quella che accompagna un cambiamento d’identità profonda. Penso, ad esempio, a chi compie un percorso di transizione di genere, e nel momento in cui riceve i nuovi documenti può sperimentare un dolore sottile e difficile da nominare: la perdita sociale di un nome, di un volto, di un’identità che pure ha abitato per anni. È un lutto di cui si parla poco, ma che merita ascolto, perché anche nei passaggi di rinascita possono annidarsi delle perdite.
Esistono poi i lutti legati ai sogni che non si sono realizzati: un figlio mai nato, una carriera sognata e mai intrapresa, un amore che non ha potuto sbocciare, un progetto di vita sfumato. Sono dolori silenziosi, difficili da spiegare agli altri, perché spesso non c’è un “evento” visibile a cui ancorarli. Ma il lutto per ciò che non è stato può segnare profondamente, e merita quanto ogni altro di essere accolto.
Quello che osservo spesso nel mio lavoro di death educator è che molte persone non si rendono nemmeno conto di star vivendo un lutto. Si sentono in difficoltà, tristi, disorientate, ma non riescono a dare un nome a quel vuoto. Perché nessuno ha detto loro che ciò che stanno provando è legittimo, che anche un “lutto invisibile” ha bisogno di cura, di parole, di tempo.
È importante sapere che anche questi lutti, se lo si desidera, possono essere accompagnati e ritualizzati. Con gesti simbolici, parole scelte con cura, piccoli o grandi momenti condivisi: esistono modalità per dare forma a ciò che non ha avuto voce, per trasformare l’invisibile in presenza. Perché ogni persona ha diritto a un tempo e a uno spazio in cui elaborare la propria perdita — anche quando il mondo attorno sembra dire il contrario.
Riconoscere i lutti delegittimati significa restituire dignità a chi li vive. Significa creare contesti educativi, culturali e relazionali in cui ogni dolore possa essere ascoltato senza giudizio. Significa dare valore ai legami, anche quando non sono “ufficiali”, perché il cuore non conosce le etichette.
Come scrivo spesso, non esistono gerarchie nel dolore. Ogni storia è unica. Ogni mancanza è personale. E ogni lutto, per quanto invisibile agli occhi degli altri, ha diritto al suo spazio e al suo tempo.
Perché nessuno dovrebbe essere lasciato solo con il proprio dolore.
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