Una padella di “pipi e patati”

  • Postato il 22 agosto 2025
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Il Quotidiano del Sud
Una padella di “pipi e patati”

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UNO “chef” televisivo qualche tempo fa aveva detto che il piatto rappresentativo della Calabria è “pipi e patate” e poi aveva parlato trionfante di innovazione della sua ricetta. Aveva trasformato i peperoni rossi in una maionese e poi fritto le patate servite su questa maionese di peperone. Poi ha disidratato alcuni peperoni verdi e li ha pestati per farne una polvere con la quale ha condito questa tragedia.

Mi chiedo, avrà mai mangiato i “pipi e patate” veri e fatti in Calabria? E se lo ha fatto che bisogno c’era di profanarli? Lo ha fatto perché oggi i “bruciapadelle” si distinguono perché per loro l’estetica è più importante del gusto. I piatti devono essere soprattutto belli da vedere, per fotografarli e poi postarli sui social. Hanno il culto dell’immagine. Il loro successo dipende dai follower. Che a loro volta sono direttamente proporzionali alla loro esposizione mediatica che crea il conseguente culto dell’immagine.

I danni che hanno fatto alla cucina Italiana “La Prova del Cuoco” e “Masterchef” sono incalcolabili e inenarrabili. I cuochi, quelli veri, hanno una diversa struttura mentale: ricercano il sapore e sanno che dipende dalla qualità della materia prima e dal rispetto della stessa. Sanno bene anche che i sapori sono da combinare, da comporre e soprattutto da rispettare.

Fulvio Pierangelini dice una verità assoluta: «L’immagine non ha gusto». Fulvio passerà alla Storia perché la sua “passatina di ceci con i gamberi” vanta più tentativi di imitazioni della stessa Settimana Enigmistica. Se volete capire quanto poco valga un piatto che vi presentano nella maggior parte dei ristoranti giudicatelo dalle strisce di salsa dai colori contrapposti, dai fiori eduli che adornano qualsiasi cibo, dall’altezza del piatto e dalla forma dello stesso che ha smesso di essere tondo per assumere le forme più strampalate. Se vi dovesse capitare una sciagura di questo tipo accettate il mio consiglio: fotografate il piatto e restituitelo al “brucia padelle” senza assaggiarlo, perché rimarrete certamente delusi né pubblicatelo su nessun social. E poi ancora una considerazione: il “brucia padelle” meno vale e più copia. Meglio se il collega è di un’altra nazione. Perché lui deve stupire! Se fosse un cuoco si chiuderebbe in cucina per sperimentare le ricette della sua tradizione, quelle che ha gustato nella sua famiglia. Che lo hanno fatto crescere. Imparerebbe il rispetto per la materia prima che è diversa ogni stagione e che raggiunge il meglio solo in determinati periodi. Parlerebbe con i contadini che gli farebbero capire che bisogna puntare sulla semplicità. Gli spiegherebbero che un pezzo di terra ed una zappa aiuta di più che una pinzetta per collocare nei piatti fiorellini edibili. Gli insegnerebbero il profumo del basilico fatto dai semi piuttosto che dalle piantine comperate nei vivai. E la gioia dell’orto nel quale produrre ortaggi veri. Per poi arrivare alla conclusione finale che un piatto deve essere un’armonia di sapori semplici e riconoscibili e se non sarà bellissimo da vedere certamente non bisognerà farsene un cruccio. Migliorerà con il tempo e con le tecniche affinate. Dovrebbe impadronirsi delle regole per poterle, caso mai, infrangere, per comunicare emozioni e non immagini. Ed allora mai e poi mai si permetterebbe di trasformare “pipi e patate” in quella orrenda visione alla quale i miei occhi sono stati costretti.

Procuriamoci mezzo chilogrammo di peperoni piccoli e tondi, tipo roggianesi, di vari colori e mezzo chilogrammo di patate rigorosamente silane. Veliamo una padella con una generosa quantità di olio di uliva di qualità eccelsa. Svuotiamo dei semi i peperoni dopo averne eliminato la calotta con il picciolo e tagliamoli a listarelle regolari e friggiamoli a fuoco dolce fino a che la cottura sarà perfetta. Con una cucchiaia recuperiamo i peperoni e teniamoli al caldo e nello stesso olio dei peperoni, ripeto nello stesso olio, friggiamo le patate fino a portarle a doratura. Solo alla fine riuniamoli insieme e facciamoli maritare. È tollerato un rametto di origano fresco sbriciolato al momento. Questo piatto è un monumento alla semplicità. Non è tollerato nessuno stravolgimento di questa centenaria ricetta.

Non ricordo a chi appartenga questa verità: «Il cuoco è l’ultimo baluardo contro la massificazione del gusto». Lunga vita ai cuochi. E che dei “brucia padelle” non rimanga traccia alcuna.

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