Usiamo i referendum dell’8 e 9 giugno per dare un colpo alle mafie e a chi ci vuol convivere
- Postato il 3 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Usiamo i referendum dell’8 e 9 giugno per dare un colpo alle mafie e a chi ci vuole convivere: il Sì ai cinque quesiti è quanto di concreto ciascuno di noi può fare per non stare a guardare la “chiazza d’olio” che si allarga nel mare dell’economia italiana.
La “chiazza” l’ha descritta bene la Direzione Investigativa Antimafia nella sua ultima relazione al Parlamento ed è fatta dalla pervasiva presenza delle mafie, che da anni ormai preferiscono celare il più possibile la componente violenta della loro natura, puntando tutto sulla capacità di fare affari, riciclando l’enorme quantità di denaro che arriva ancora prevalentemente dal narcotraffico internazionale, approfittando scientemente delle nuove tecnologie, scommettendo sull’avidità quando non sulla sofferenza di professionisti spregiudicati e di imprenditori affannati dalla competizione, il tutto condito dalla atavica propensione ad interferire con le pubbliche deliberazioni. Il ciclo del contratto pubblico resta per l’appunto la grande giostra da cavalcare per trarne profitti e relazioni qualificate, cioè potere.
Però la relazione della Dia andrebbe letta tenendo presente altri tre fatti recenti: la relazione, presentata anch’essa al Parlamento, dal presidente dell’Anac (l’Autorità Nazionale Anti Corruzione), Giuseppe Busia, l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sullo schema di decreto presentato in Consiglio dei Ministri e denominato “decreto Infrastrutture” e le dimissioni dalla magistratura di Michele Prestipino.
La relazione dell’Anac ha rappresentato con lucidità il grave arretramento dell’Italia in materia di prevenzione e contrasto della corruzione: sui conflitti di interessi, sull’attività delle lobby, sulle “porte girevoli”, sulle misure alternative al reato abolito di abuso d’ufficio, sulle contromisure necessarie all’affievolimento del reato di traffico di influenze illecite; nessun adeguato provvedimento da parte della maggioranza, che riesce tuttavia a fare anche peggio del non-fare-niente perché (sempre relazione Anac) a causa delle più recenti modifiche del Codice degli appalti, ormai il 98% della spesa pubblica viene allocata senza gara, per affidamento diretto, il che si somma alla possibilità di subappaltare a piacere da parte di chi si aggiudica i lavori, senza un reale potere di verifica e controllo da parte della committenza pubblica.
Risultato, dice Busia, i lavoratori pagano il prezzo più alto in termini di salari, sicurezza e condizioni di lavoro perché sono “l’anello debole della catena”. Passa qualche giorno dal terremoto Anac e apprendiamo che il presidente della Repubblica è stato costretto ad intervenire in via preventiva e per le “vie brevi” affinché dallo schema di decreto Infrastrutture fosse espunta una norma che avrebbe qualificato la costruzione del Ponte sullo Stretto come opera urgente e avrebbe pertanto modificato, accentrandole in capo al Viminale, le procedure di controllo antimafia negli appalti. Salvini, contrito, ha già fatto sapere che insieme a Piantedosi sta escogitando il modo per far rientrare dalla finestra ciò che il Presidente ha cacciato dalla porta. Staremo a vedere.
Tutto il mondo sa, infine, grazie agli articoli di giornale immediatamente usciti sull’infausto pranzo romano tra Michele Prestipino, Gianni De Gennaro e Francesco Gratteri, che diverse Procure stavano operando sulle presunte infiltrazioni delle mafie nei lavori per la realizzazione del Ponte sullo Stretto (e chissà che fine hanno fatto le indagini rivelate). Insomma: precarizzazione del lavoro, subappalti a cascata e irresponsabili, opacità nel ciclo del contratto pubblico, vulnerabilità sociale in particolare dei lavoratori di origine straniera non fanno che alimentare mafie e connivenze indecenti.
I 5 referendum invece, intervenendo sulle garanzie nei confronti dei licenziamenti illegittimi le quali aumenterebbero con la vittoria dei Sì, sulla precarizzazione strutturale del lavoro che diminuirebbe con la vittoria dei Sì, sulla irresponsabilità dell’azienda aggiudicatrice dei lavori pubblici nella sicurezza dei subappalti che scomparirebbe con la vittoria dei Sì e sul dimezzamento dei tempi per richiedere la cittadinanza italiana, ferme le altre condizioni necessarie, che si otterrebbe con la vittoria dei Sì rappresentano un argine solido a questa deriva velocissima, resa ancora più impetuosa dalle prevedibili conseguenze di alcune norme del decreto Sicurezza che, criminalizzando il dissenso ed estendendo i poteri dei Servizi di Sicurezza, sembrano fatte apposta per chiudere il cerchio, consentendo di eliminare più facilmente scomode presenze e sguardi troppo occhiuti.
Spesso quando incontro studenti e studentesse nelle scuole italiane per ragionar di mafie e antimafie, a Vicenza e a Caltagirone nell’ultima settimana, mi si chiede: ma noi in concreto cosa possiamo fare contro le mafie? Ecco: andate a votare, ritirate la scheda (!) e votate Sì! E se non siete ancora maggiorenni, convincete gli elettori che avete a portata di cuore. Sapete come fare.
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