Con l’addio di Giuntoli e il rientro di Allegri nel grande calcio, si chiude un anno di strabismo
- Postato il 3 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Carmelo Zaccaria
Nel calcio le rivoluzioni non pagano, si presentano quasi sempre come “flop” annunciati. Il club Psg degli arabi ha provato a ribaltare a più riprese i vertici aziendali, comprando l’impossibile sul mercato e dilapidando fiumi di denaro, ma è riuscito a vincere la Champions solo quando ha rinunciato ad accaparrarsi l’ennesimo mostro sacro da esibire in pubblico, mettendo al centro del progetto una squadra di giovani talenti, dotati di piede ed affamati di gloria. Anche nel calcio per vincere c’è bisogno di buon senso e di audacia.
L’annus horribilis della Juventus, appena concluso, ne è la riprova. La delusione è stata tanta, nonostante la stentata qualificazione in Champions l’abbia un po’ addolcita. La migliore traduzione di questa annata fallimentare sta nella presunzione di poter realizzare a tutti i costi una rivoluzione, senza che ce ne fosse alcun bisogno. La sbadataggine e la protervia della diabolica accoppiata composta da insigni professionisti della finanza, completamente ignari delle logiche pallonare, e da un improvvido dirigente sportivo, il rampante Giuntoli, rivelatosi, almeno per ciò che si è visto, un indistinto dilettante allo sbaraglio, si è resa colpevole di incredibile misfatto.
Su questo abbinamento già difettoso e traballante dall’inizio, segnato da un eccesso di vanagloria e di supponenza, è stato realizzato uno dei rovesci più performanti della storia juventina, iniziata con una sfilza di acquisti senza capo né coda, infruttuosi e ingiustificabili, a cui ha fatto seguito una indecorosa svendita di giovani promesse cresciuti nel proprio vivaio, che ancora grida vendetta. La scelta alquanto scriteriata poi di un allenatore, Thiago Motta, basata sostanzialmente su pretestuosi osanna mediatici e sulla complicità di certa stampa sportiva ha completato l’opera.
Di fatto, con l’esclusione di pochi eccelsi, si è assistito ad un’allucinazione collettiva, cresciuta all’ombra di un rincrescimento stizzoso nei confronti di Allegri. Così si è assistito ad una rivoluzione effimera e balorda, ad un assalto di baionette lucidate con cartavetro. Soldi buttati al vento.
Ad un certo punto qualcuno si è chiesto come è potuto accadere che la Juve di Conte abbia potuto vincere i suoi bei campionati con Giaccherini e Padoin. E come è stato possibile che persino quello sbruffone di Allegri abbia conquistato una Coppa Italia con Kostic e Alcaraz, impegnandosi da solo, con temeraria testardaggine, a proteggere la società da bufere giudiziarie e sanzioni sportive. Aver fatto la guerra ad uno spirito indomito, un condottiero vincente come Allegri, al di là dei suoi limiti e proverbiali insofferenze, è stato un errore capitale di superbia, un comportamento tronfio e irriguardoso, una scorrettezza inaudita, una bassezza umana imperdonabile.
La corte sabauda infine ha iniziato a chiedersi come mai non si riesce più a vincere dopo aver messo mano al portafoglio, apprendendo finalmente l’unica verità possibile e che cioè nel calcio si va per gradi. In verità capita, sia pure raramente, di riuscire a vincere subito, ma non succede mai se rivolti la squadra come un calzino, se gli togli all’improvviso i suoi punti di riferimento, se contraddici la sua storia e se contamini il suo Dna. Non basta sentirsi juventino per amare la Juve, bisogna rispettare la tradizione senza boicottarla, bisogna sapersi mettere a disposizione, apprezzando il lavoro ed i meriti di chi ti ha preceduto.
Con l’allontanamento di Giuntoli e il rientro di Allegri nel grande calcio si è chiuso un cerchio e, per molti tifosi, un anno di sofferenza e di strabismo calcistico. Si riprende da dove si era lasciato all’inizio, cioè dalla giusta richiesta di discontinuità e di avvicendamento, poi degenerata in una fuorviante rivendicazione su tattica e bel gioco, che da sempre agitano le discussioni cavillose e altisonanti degli addetti ai lavori e trastullano i social.
Noi juventini preferiremmo contentarci semplicemente di vincere. Senza tanti sfracelli.
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