Così si possono trasformare le mobilitazioni di piazza per Gaza in opposizione sociale
- Postato il 16 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Giuseppe Mammana
In attesa di capire se la tregua a Gaza possa reggere visto i fragili pilastri su cui è nata – il mancato riconoscimento dello stato palestinese e la vaghezza sul ritiro dell’Idf dalla Striscia – appare interessante riflettere sulle migliaia di persone che, nelle scorse settimane, hanno attraversato le piazze italiane bloccando stazioni, porti, tangenziali. Una moltitudine di persone che raccogliendo l’appello del collettivo dei lavoratori portuali di Genova, prima della partenza della Global Sumud Flotilla, chiedevano agli italiani di bloccare tutto, qualora l’esercito israeliano avesse fermato le imbarcazioni dirette verso Gaza.
Un appello che non è caduto nel vuoto, in particolare il 22 settembre e il 3 ottobre: milioni di persone si sono radunate nelle piazze delle città, urlando frasi in sostegno dei palestinesi e bloccando un paese con manifestazioni che non si vedevano da almeno venti anni, dai tempi dei cortei no global. Insomma, come recitava uno striscione: “Pensavamo di liberare la Palestina. E invece la Palestina ha liberato noi!”
Ma come si è arrivati a questa mobilitazione? E cosa possiamo fare per trasformare questa protesta in opposizione sociale?
In primo luogo questa protesta non è nato improvvisamente, ma è il risultato del gran lavoro svolto all’interno delle organizzazioni del movimento. Dalle realtà palestinesi – i Giovani palestinesi e l’Udap – alle altre organizzazioni e sindacati di base che hanno operato attraverso coordinamenti territoriali per sensibilizzare la popolazione italiana sugli eventi di Gaza. Tramite assemblee e manifestazioni, che da due anni a queste parte, si sono tenuti con cadenza settimanale.
In secondo luogo, c’è qualcosa di inspiegabile nella simbiosi nata tra la popolazione e i componenti della Global Sumud Flotilla: alleanza che ha messo con le spalle al muro il governo italiano squarciando quel velo di omertà e complicità che contraddistingue i rapporti tra Italia e Israele, sebbene più volte la stampa avesse denunciato come l’Italia fosse il terzo esportatore di armi verso Israele e avesse appaltato la cybersicurezza a Tel Aviv. Il governo italiano sembrava uscito quasi indenne, a livello mediatico, da questa accusa. La Flotilla è riuscita a scalfire questo velo di ipocrisia.
Esemplificativo di questo atteggiamento è stata la decisione del governo di scortare le navi italiane, tramite la marina militare, solo fino a 150 miglia dalle coste di Gaza. Un gesto che ha avallato l’azione di pirateria del governo israeliano: gli arresti effettuati in acque internazionali, su navi battente bandiera italiana, equivalgono a fermi avvenuti nel territorio italiano. L’Italia non ha agito, non ha tutelato l’incolumità dei suoi concittadini, ed è apparsa complice dei crimini commessi dal governo israeliano.
In egual misura il governo deve prendere atto di come la partecipazione alle manifestazioni del 22 settembre e del 3 ottobre sia stata trasversale ai partiti politici. La Flotilla ha scalfito quel velo di indifferenza degli stessi elettori di centrodestra, scesi in piazza perché esausti dal livello di disumanità del governo di Netanyahu.
Il governo, consapevole di un forte malcontento sociale, ha cercato prima di colpire le organizzazioni politiche solidali con le lotte dei palestinesi delegittimando le manifestazioni di piazza, e successivamente ha tentato di dipingere l’esistenza di un quadro eversivo in atto nel paese con un fantomatica “caccia alle streghe”- come titola il quotidiano La Nazione, che riprendendo un’interrogazione parlamentare sollevata dai deputati di Fdi al ministro Piantedosi tacciavano come eversiva una realtà politica, i Carc, presa di mira non a caso per aver smascherato la presenza dei sostenitori del sionismo in Italia.
Il governo Meloni non si è limitato a disegnare scenari eversivi, ma ha tentato di dare un altro schiaffo ai luoghi di cultura, come la scuola o l’università, dove si respira sensibilità verso certe tematiche, attraverso la stesura dell’ennesimo provvedimento repressivo, il ddl Gasparri, che equipara l’antisemitismo all’antisionismo riprendendo la nuova definizione di antisemitismo, redatta nel 2016 dall’International Holocaust Remembrance Alliance. Il ddl prevede, nelle scuole, l’obbligo di segnalazione del dirigente scolastico all’ufficio scolastico regionale, mentre spetterà ai vertici degli atenei vigilare e segnalare gli episodi antisemiti. Negare l’esistenza dello stato di Israele o criticare le politiche sioniste prevederà l’applicazione di provvedimenti per i docenti delle scuole, insegnanti universitari e ricercatori.
Le sanzioni vanno dalla querela del docente alla trattenuta degli stipendi, fino alla sospensione dall’incarico. In un paese, come il nostro, che ha provato a colpire qualsiasi oppositore politico sostenitore della causa palestinese. Appena un anno fa un educatore è stato licenziato da un istituto francese.Un docente di filosofia, in una nota scuola romana, ha subito prima un provvedimento di querela dal dirigente scolastico, e dopo la visita ispettiva del Ministero dell’istruzione, per aver semplicemente parlato del genocidio in Palestina. Il 5 ottobre del 2024 un ragazzo tunisino, Tarek, dopo gli scontri avvenuti a Porta San Paolo a Roma, è stato arrestato e portato al carcere di Regina Coeli. Le accuse che avallano l’arresto sono quantomeno pretestuose. Nelle carceri italiane si trova un detenuto palestinese, Anan Yaeesh, che Israele vorrebbe estradare nelle proprie prigioni, malgrado il diritto internazionale riconosca la legittimità della resistenza palestinese.
Per tutti questi motivi diventa urgente reagire a questi tentativi di repressione e censura, costruendo una piattaforma politica chiara che possa da un lato tenere alta l’attenzione su Gaza e sulla West Bank, dall’altro non disperdere questo patrimonio di solidarietà, nato nelle piazze, costruendo un’alleanza forte con le uniche forme di opposizione sociale presenti nel paese: le proteste contro il ddl Sicurezza e il riarmo. Avanti tutta, Free Palestine!
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