Dopo le proteste della Gen Z in Marocco, quale futuro si prospetta per i giovani?
- Postato il 8 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il rapporto tra la Spagna e il Marocco è una relazione tra due Regni, tra due paese retti da monarchie ben solide. Un legame storico favorito dalla vicinanza geografica, da scambi culturali radicati nel sud dell’Andalusia, o persino da influenze linguistiche con l’idioma castigliano che è una seconda pelle a Tetuán o a Tangeri, la più occidentale delle città marocchine.
Talvolta è la geopolitica a ridestare passioni, con le cicliche rivendicazioni di Rabat sulle enclave contese – si pensi a Ceuta e Melilla – o con il destino da attribuire ad una ex colonia spagnola, la regione sud-sahariana rivendicata dal Fronte Polisario ma dai tempi della “Marcia verde” del 1975 sotto il rigido controllo marocchino.
Il re Muhammad VI, malgrado promesse e ammodernamenti più o meno riusciti, non è riuscito a sradicare il fenomeno dell’emigrazione massiccia verso l’Occidente. Un flusso che trova un approdo sicuro, naturale, nelle coste spagnole. Non è un caso che la comunità marocchina sia una delle più numerose in terra iberica, quasi un milione i residenti legali, impiegati sotto le serre sterminate della piana di Almeria o tra i campi di fragole di Huelva, e a consolidare la presenza etnica in quartieri storici di Madrid e di Barcellona.
C’è una parte della società marocchina che in queste settimane si chiede quale futuro abbiano i giovani, se i tanti laureati che ogni anno escono dagli atenei del paese possano tracciare un cambiamento e limitare i flussi verso il continente europeo. Le rivolte giovanili di questi giorni hanno messo a nudo le difficoltà sociali ed economiche di un paese che sembra correre a due velocità.
Quanto accade non lontano dalle mitiche colonne d’Ercole è emblematico, si sbarca a Tangeri e ci si imbatte nel porto commerciale – il Tanger Med –, una infrastruttura che compete con i più importanti scali europei. Fa impressione vedere le manovre di attracco di navi cargo di 400 metri, mentre decine di gru imponenti e brulichii continui di tir movimentano migliaia di container al giorno (i numeri ufficiali dicono oltre 10 milioni all’anno).
Qualche centinaio di metri più in là dell’ultima recinzione dell’area portuale, viene alla luce un altro Marocco, piccoli villaggi con costruzioni basse e fatiscenti, poca vita intorno, solo qualche bar divenuto ritrovo dei camionisti pronti ad un nuovo controllo di dogana.
Il paese delle contraddizioni e delle disuguaglianze, con un grande stadio in costruzione, vicino Casablanca, per il Mondiale del 2030 da organizzare con Spagna e Portogallo e una spesa sociale ridotta all’osso. La ‘GenZ 212’ (+212 è il prefisso telefonico internazionale) è un movimento giovanile nato ad Agadir, città costiera nota per il turismo e per la malasanità visti i ripetuti decessi di madri gestanti registrati negli ultimi mesi.
Più sanità, più lavoro, più investimenti nella scuola, non solo autostrade e la nuova linea dell’alta velocità Kenitra-Marrakech.
Il Marocco dei berberi, delle periferie, delle zone rurali o di quelle montagnose dell’Atlante e del Rif è troppo distante dalle aree metropolitane che hanno conosciuto uno sviluppo che sembra essere senza progresso.
Un movimento di giovani che muovendo i primi passi sulle piattaforme social, come Discord, ha portato il malcontento in piazza fino a quando gli spari della polizia di Leqliaa – agglomerato urbano alle porte di Agadir – hanno provocato la morte di tre manifestanti. Il tragico evento ha sopito il nuovo vento di ribellione che viene dalle coste dell’Atlantico, ma la rabbia rimane, come attestano rilevamenti demoscopici che evidenziano il crescente disagio sociale e la forte indignazione per una corruzione che tra politici e ‘colletti bianchi’ è senza controllo.
La Spagna è spettatrice interessata, il malessere collettivo può essere fonte di nuove ondate di migranti, per questo i media cercano di capire se è solo inquietudine passeggera o brace viva che arde sotto una coltre sottile di cenere, pronta ad accendere una nuova “Primavera araba”.
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