La storia dipende dalla narrazione: chi ha voluto raccontarci il nazismo come un unicum?
- Postato il 7 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Rosamaria Fumarola
C’è voluto del tempo prima che si potesse parlare liberamente dell’eccidio in atto a Gaza come di un genocidio. Ora per fortuna, non bisogna più prepararsi ad uno scontro con qualche raffinato cultore della lingua prima di usare tranquillamente l’espressione. Cercare e trovare le parole giuste per ogni cosa certo non è semplice, ma è necessario, perché la civiltà ha bisogno di parole per costruirsi e la nostra è un’epoca che fa fatica ad interrogarsi per trovare espressioni che qualifichino perfettamente le realtà di cui è testimone.
Qualcuno potrebbe obiettare che è difficile trovare parole per ciò che si presenta come inedito, come nuovo e che non ha alcun termine di paragone. La verità è purtroppo che la storia presenta spesso delle similitudini che non richiedono lo sforzo di produrre neologismi. Se però si assume questo come un dato da non mettere in discussione, si imporranno delle riflessioni lucide sulle narrazioni di ieri e di oggi, prima fra tutte quella che ci parla del nazismo come di un fungo, un monstrum che mai prima si era avuto e che mai più si affaccerà al balcone della storia.
Certo il nazismo si servì dei mezzi prima inesistenti offerti dall’industrializzazione, per concretizzare la barbarie progettata, mezzi che gli consentirono lo sterminio di un numero di persone mai raggiunto prima tra ebrei, omosessuali, zingari, russi, oppositori politici etc. La catena di montaggio fu usata dunque da Hitler come arma nuova e non convenzionale per liberarsi soprattutto della cosiddetta razza ebraica. Gli aspetti che di questa tragedia furono meno inediti sono però la maggior parte e li ritroviamo sempre nella storia dell’Occidente come dell’Oriente. Ciò che può cambiare è la narrazione, a seconda che i fatti siano narrati dai vincitori oppure dai vinti.
Per noi occidentali ad esempio, che attingiamo culturalmente al patrimonio culturale dei Greci e dei Romani e ai quali riconosciamo “invenzioni” come la democrazia o il diritto, è eretico pensare che ciò che sappiamo di Atene è soprattutto ciò che Atene da vincitrice ci ha raccontato e che gli eccidi da essa posti in essere con la pretesa propagandistica di incarnare civiltà e libertà contro i Persiani ad esempio, sono state stragi efferate e talvolta vergognose. È lo stesso Erodoto a sottolineare che lo sbilanciamento nel racconto di alcuni conflitti a favore dei Greci, non rendeva giustizia ai popoli orientali, secondo lui di usi e costumi spesso raffinatissimi. Persino gli accadimenti della storia della Magna Grecia sono costellati da stragi perpetrate ai danni delle popolazioni locali dai Greci e che non trovano posto non solo nei sussidiari delle scuole elementari, ma anche nei manuali in uso dei licei.
Queste e tante altre sono le componenti imprescindibili delle guerre, di tutte le guerre e lo sono state anche di quelle poste in essere da Hitler. È necessario dunque domandarsi chi abbia avuto interesse a raccontarci il nazismo come un unicum, il male assoluto, senza precedenti e più grande di tutta la storia. Se non siamo capaci di porci questo interrogativo non comprenderemo mai fino in fondo quanto accade a Gaza, dove il male assoluto è esercitato da Israele con la complicità del civilissimo Occidente, dove un governo sionista spera accada quanto in genere succede ai vincitori e cioè che la riscrittura dei fatti dovrà spettargli un giorno proprio in virtù della vittoria che auspica.
Netanyahu, gli Stati Uniti e l’Europa sanno che è ai vincitori che si crede, come un tempo gli stessi nazisti ricordavano agli ebrei peccando di superbia nell’immaginarsi già vincenti. Nazisti che furono né migliori né peggiori di altri e, converrà ammetterlo una buona volta, né migliori né peggiori di noi.
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