Lo Stato Islamico pronto a risorgere dalle ceneri: i campi di detenzione incubatori di jihadisti grazie anche al disimpegno di Trump
- Postato il 21 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La notizia di cronaca raccolta dall’agenzia Afp indica che il 20 agosto la coalizione anti-jihadista ha eliminato Salah Numan, noto come Ali, leader iracheno dell’Isis. Il raid è avvenuto nel nord-ovest della Siria. Lo stesso giorno la Procura federale tedesca ha accusato Akhmad E., cittadino russo, di pianificare un attentato all’ambasciata israeliana di Berlino. Secondo gli investigatori tedeschi, Akhmad aveva giurato fedeltà allo Stato Islamico, diffondendo il suo video sui social. Le crisi internazionali tengono lontano dai titoli principali dei media questi episodi, eppure sono una spia accesa sul fatto che l’Isis non sia scomparso. Anzi, i numeri indicano che il gruppo è pronto a sfruttare il disimpegno dal Medio Oriente annunciato dal presidente americano Donald Trump.
In special modo, sono i luoghi di prigionia e raccolta a essere delle vere e proprie polveriere. Si calcola che ci siano 50mila veterani, assieme alle loro famiglie, dislocati in 27 tra campi e centri di detenzione. La Casa Bianca sotto la gestione del tycoon ha tagliato fondi per 117 milioni di dollari che servivano alla gestione dei campi, con forniture e gestione della sicurezza e la raccolta di dati. Come già annunciato a febbraio, Trump ha confermato una riduzione delle truppe: si tratta di reparti speciali che dovrebbero passare da 2.000 a 700 unità.
È stato raccontato come i campi di detenzione siano l’incubatore principale della diffusione della Sharia più integralista che è alla base dello Stato Islamico. Peggiorare le condizioni di vita per i detenuti e le loro famiglie con i tagli dei fondi aumenta la rabbia di chi già vede l’Occidente come un nemico da spazzare via. La struttura di al-Hol ospita fino a 36mila persone. Un dossier delle Nazioni Unite descrive al-Hol come un luogo infernale: fogne a cielo aperto, aggressioni sessuali, il 60% della popolazione del campo è rappresentato dai bambini.
Nel 2024, i jihadisti avevano triplicato i loro raid. Per questo motivi gli Stati Uniti avevano intensificato la reazione assieme alle milizie delle Forze Democratiche Siriane a guida curda, riuscendo a catturare quello che era identificato come il capo dell’Isis: Salah Mohammad Al-Abdullah a Shahil. Nel 2025 c’è stata una fase di studio da parte dei jihadisti rispetto al nuovo governo del presidente Ahmed al-Sharaa. Ma la pausa è durata poco e le azioni violente sono aumentate da quando si è saputo che gli Stati Uniti smobilitavano: una media di 14 attacchi al mese tra aprile e maggio scorso.
Appare evidente che l’Isis non è sconfitto e che l’idea del presidente Trump di non occuparsi più di questa problematica rinvigorisce l’idea di un ritorno dello Stato Islamico, sfruttando la rabbia che cresce tra le famiglie disgregate nei campi di detenzione. Una soluzione potrebbe essere quella dei rimpatri da strutture come al-Hol: se l’Iraq ha riportato indietro 25mila connazionali, non altrettanto efficaci sono state altre nazioni, come l’Indonesia e lo stesso Regno Unito, che ha tolto ai detenuti la cittadinanza rendendoli apolidi. Per alcuni osservatori, senza altre alternative, saranno proprio queste persone senza patria a correre tra le braccia dell’Isis assieme alle loro famiglie.
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