A Istanbul nessuna mediazione sull’Ucraina: solo la consegna di un memorandum-diktat di Putin

  • Postato il 4 giugno 2025
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Il bilancio della mediazione pacificatrice miracolosa di Donald Trump dopo oltre 4 mesi dall’insediamento e all’indomani del secondo round di Istanbul si sta rivelando miserevole, come facevano purtroppo presagire le previsioni realistiche di chi non si è lasciato suggestionare dalle promesse roboanti e dalle tattiche vessatorie da immobiliarista spregiudicato.

Le promesse hanno finito per concretizzarsi in minacce, ricatti e pressioni nei confronti del più debole per Gaza come per Kiev, le finalità diplomatiche rappresentate dagli immobiliaristi di fiducia si sono inestricabilmente confuse con gli interessi affaristici personali e la condiscendenza nei confronti dei criminali di guerra che, con i dovuti distinguo, a Mosca come a Tel Aviv perseguono la guerra in primis per garantirsi continuità di potere e impunità a tempo indeterminato.

In breve lo schema trumpiano in politica estera, come per i dazi, è sempre lo stesso: minaccia, trattativa, lieto fine per chi ha minacciato (copyright di Enrico Mentana). Ma a tutt’oggi, dopo il colloquio lampo di Istanbul che ha partorito solo uno scambio di prigionieri e di vittime sul campo, l’immagine evocata dallo stesso Trump di “Putin che lo mena per il naso” si è ulteriormente perfezionata ed è opposta a quella che pretendeva di imporre.

Solo tentare di seguire “ordinatamente” la road map dei colloqui che avrebbero dovuto tenersi sotto la guida ferma del supremo pacificatore è un’impresa disperata quanto inutile. Basta avere davanti agli occhi quella che era stata salutata come “immagine storica” ma che risale solo ai funerali di Papa Francesco e aveva fatto sperare anche i più scettici riguardo le intenzioni e la capacità del tycoon di diventare un mediatore onesto e credibile. Il colloquio inaspettato, informale e “intimo” tra Zelensky e Trump seguito alle sue dichiarazioni per una volta veritiere sull’essere preso in giro dal “galantuomo affidabile” di Mosca, interessato solo a prendere tempo, e la vigorosa esortazione a Putin per la tregua e il dialogo appartengono già ad un passato remoto ed illusorio.

Tutto il balletto di finte aperture e disponibilità a mettere fine alla guerra o quantomeno ad una tregua reale e non propagandistica ad uso interno di 24-48 da parte del Cremlino si è dissolto miserevolmente ad Istanbul dove persino una lista molto ridotta di 339 bambini da rimpatriare rispetto alle migliaia sottratti fraudolentemente alle famiglie, proposta dalla delegazione ucraina, è stata respinta. Solo 10 rientreranno, non è chiaro a quale titolo, visto che Mosca continua a negare l’evidenza della deportazione illegale per la quale due anni fa la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Vladimir Putin. Secondo il capo delegazione Vladimir Mendisky, consigliere scelto per la fedeltà di falco e l’abilità manipolatoria di storico del regime, “non c’è un solo bambino rapito ma solo bambini salvati dai nostri soldati a rischio della vita”. Così persino un tema umanitario, disciplinato dal diritto internazionale che non dovrebbe trovare ostacoli insormontabili in vista di un accordo, è invece off limits per l’evidente ed elementare ragione che confligge con la pretesa all’impunità totale di Putin, condizione necessaria per l’agibilità politica e premessa per nuovi e ulteriori crimini di guerra.

Al momento solo Erdogan vede “un punto di svolta” nel negoziato di facciata di Istanbul e ha rilanciato un “vertice di pace” in cui coinvolgere Zelensky, Putin e Trump. Ma mentre Trump ha condiviso l’iniziativa, non si sa se per rilanciarsi come mediatore o per aprirsi un’exit strategy dopo la condiscendenza illimitata nei confronti dell’amico Vladimir, il portavoce dello zar l’ha definita “improbabile” in quanto “i contatti nel prossimo futuro dovrebbero essere il frutto di quegli accordi che saranno già elaborati a livello tecnico e di esperti.”

Nel linguaggio criptico-manipolatorio a cui ci ha abituato il Cremlino si tratta di un niet che rimanda al leggendario memorandum, ovvero la summa di diktat che Putin ha stilato, non da oggi, ma che ha perfezionato a beneficio dell’aggredito e degli alleati, ovvero l’Occidente guerrafondaio che “lo minaccia”. Il memorandum “aggiornato” per dimostrare la conclamata disponibilità al dialogo, tanto lodata anche in Italia dal pacifismo allineato obiettivamente con Mosca, prevede due opzioni che includono comunque la rottamazione di Zelensky e la smilitarizzazione dell’Ucraina.

Per la tregua di un mese c’è la pretesa di revocare la legge marziale, mentre piovono con rinnovata intensità le bombe, un ostacolo alle elezioni per liquidare Zelensky e insediare “una brava persona” gradita a Mosca; nonché la smobilitazione delle truppe al fronte. Per la fine del conflitto il pacchetto è più nutrito: transito del gas russo, neutralità ucraina, cessazione di qualsiasi sostegno militare e di intelligence esterno, limite stringente di truppe e armi dell’esercito regolare, conferma di nazione non nuclearizzata. Più naturalmente il riconoscimento de jure di tutte le province per intero oltre i territori occupati, l’impunità per tutti i crimini di guerra, la fine di tutte le sanzioni. Così l’Ucraina sarebbe sollevata anche dal problema vitale delle garanzie di difesa: annessa e dunque protetta dal suo aggressore.

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Il Fatto Quotidiano

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