Abbiamo fallito ancora una volta: non siamo stati capaci di salvare Pamela Genini

  • Postato il 17 ottobre 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

La violenza di Gianluca Soncin, in carcere a San Vittore, è la stessa di quei 100 uomini che, ogni anno, uccidono donne mettendo in atto le stesse dinamiche che leggiamo nella cronaca di questo ennesimo femminicidio. Oltre ai femminicidi c’è la violenza sommersa, quella che rilevano le indagini Istat e i Centri antiviolenza che accolgono migliaia di donne. Se una donna su tre, ha subito almeno un episodio di violenza nel corso della propria vita, si può affermare che un uomo su tre ha commesso almeno un atto di violenza nei confronti di una donna. Uno su tre.

La sera del 15 ottobre, Gianluca Soncin ha assassinato Pamela Genini, dopo averle fatto violenza per 600 giorni. Un anno e mezzo è durato l’incubo in cui questo sedicente imprenditore, con precedenti penali per reati tributari, ha trascinato una donna di appena 29 anni. I media raccontano di un’escalation di violenze che si ripetevano ciclicamente, ogni venti giorni. Soncin ha desertificato la vita di Pamena Genini, e lo ha fatto come un usuraio che si appropria di risorse altrui, ricorrendo alla violenza ma al posto del denaro voleva potere e controllo. Pamela cancellava se stessa dai social, nascondeva le sue abitudini e riduceva gli spazi della sua vita e Gianluca Soncin ingigantiva se stesso, rispecchiandosi nella paura che riusciva ad incuterle.

Ci siamo chiesti, stupidamente, forse mossi da frustrazione, le ragioni del silenzio di Pamela Genini. Scrive il gip dell’ordinanza di custodia cautelare che ha condotto in carcere Soncin: “Resta l’amarezza di constatare che la vittima ha dipinto un quadro non sufficientemente allarmante della vicenda”m durante il terzo intervento delle forze dell’ordine nell’abitazione di Milano. Mi sono chiesta quando Pamela avrebbe potuto svelare violenze, se era vicino all’uomo che la minacciava da un anno e mezzo. Nel momento in cui le forze dell’ordine sono intervenute, hanno messo in atto quei protocolli che consentono alle vittime di parlare in tranquillità, protette dagli aggressori? Ci aspettiamo che le donne parlino, che svelino ciò che accade tra le pareti si chiudono sulle loro vite con le minacce di morte, gli stupri e le umiliazioni quotidiane mentre altri silenzi calano su quelle violenze.

La stampa riporta che le forze dell’ordine erano intervenute tre volte. Nella casa di Gianluca Soncin a Cervia, in provincia di Ravenna, al pronto soccorso di Seriate (Brescia) dove Pamela era andata a farsi medicare per un dito rotto ma dopo questi due primi interventi non era stata inserita nessuna annotazione nell’applicativo interforze Scudo: uno strumento di contrasto alle violenze domestiche e di genere. La polizia che era poi intervenuta una terza volta a maggio, nell’appartamento di via Iglesias a Milano, ma non aveva trovato nessuna annotazione nei terminali, e le Procure di Ravenna e quella di Milano non erano state allertate. Non sappiamo se le forze dell’ordine abbiano mai incoraggiato Pamela a rivolgersi ad un Centro antiviolenza che avrebbe potuto offrirle supporto e protezione a prescindere dalla denuncia, lasciandole il tempo di sentirsi al sicuro per poi chiedere le misure cautelari che avrebbero potuto fermare chi l’ha uccisa.

Ci siamo chieste, ancora, che cosa non abbia funzionato. Dovremmo istituire al più presto un sistema di femicide review che identifichi le lacune nel sistema di protezione delle vittime di violenza e che riveda passo passo, cosa si poteva fare e non è stato fatto.

Abbiamo letto, ancora, una narrazione distorta sui media che hanno saccheggiato i profili social di Pamela Genini, scaricando le sue foto e pubblicandone anche più di una accanto ad in ogni articolo. Era giovane, era bella. Le illazioni di una certa arte della stampa sul suo rapporto con l’uomo che l’ha uccisa sono state tante, le riflessioni sul fenomeno della violenza maschile come prodotto culturale, molto poche. Corinna De Cesare, sul Post, denuncia una nuova frontiera del giornalismo, nei casi di violenza contro le donne: la fase del true crime.

Sulla sua pagina fb, Manuela Iacobone Perrone, giornalista del Sole 24 ore, ha scritto “E così abbiamo scoperto che Pamela Genini non viveva la vita da favola che suggerivano le foto di lei che circolano ovunque, vecchie e nuove, senza rispetto per il fatto che è stata uccisa con 24 coltellate. Abbiamo scoperto che non stava con Gianluca Soncin, come pure ho letto da qualche parte – vergogna – per soldi, viaggi e borse firmate. No. Pamela Genini viveva una vita d’inferno, di violenze e di botte perché non riusciva a lasciarlo. E non riusciva a lasciarlo, guarda un po’, perché lui minacciava di morte lei, sua madre, sua sorella quando era incinta. E perché non erano parole al vento: Gianluca Soncin ne era effettivamente capace e lei lo sapeva. Paola Genini è un’altra delle tante donne che non siamo riuscite a salvare, isolate e segregate. Stasera non mi do pace”.

Difficile trovare pace davanti al fallimento e per non essere stati capaci di bloccare l’ennesimo assassino. Questa volta si chiama Gianluca Soncin, 52 anni. Uno dei cento che, ogni anno, commettono un femminicidio.

@nadiesdaa

L'articolo Abbiamo fallito ancora una volta: non siamo stati capaci di salvare Pamela Genini proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti