Ananda Devi: orrore e bellezza dell’isola di Mauritius

  • Postato il 6 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Nessuno sa che si può amare così, a diciassette anni. Mi immergo nell’acqua notturna di Eva. Mi tuffo nella sua visione torbida. Affogo nel suo fango, nella sua innocenza. Me ne frego di quello che è, di quello che fa. Sono l’ombelico ammiccante sopra la cintura dei suoi jeans. Sono il tallone tondo del suo piede nudo nei sandali. Sono il ricordo della sua risata così rara, della sua forza, della sua sfida. Non vedo nient’altro. Le mie frasi sui muri non sono più vergate con inchiostro nero ma bianco, e la penna si riempie e si svuota da sé, con formidabili fiotti.”

Eva dalle sue rovine, di Ananda Devi (traduzione di Giuseppe Giovanni Allegri; Utopia Editore), è un solido, bellissimo romanzo breve che scava nelle profondità dell’esperienza interiore, facendo emergere, con lirismo e verosimiglianza, la violenza endemica degli esseri umani e la loro disperata ricerca di identità. Ambientato a Troumaron, uno dei quartieri più poveri e degradati di Port Louis, la capitale delle Mauritius, rinomata meta turistica per migliaia di danarosi turisti occidentali, la storia si snoda seguendo il percorso di quattro adolescenti: Sad, aspirante poeta, ispirato da Rimbaud, che tratteggia versi sui muri della sua stanza; Eva, che usa il proprio corpo come arma di difesa e di inconsistente potere personale; Savita, la migliore amica di Eva, che la ama incondizionatamente e che sogna di andarsene via dal ghetto; Clelio, teppista ribelle in attesa che suo fratello maggiore lo mandi a chiamare dalla Francia per dargli una possibilità di una vita migliore.

Tra scorci di vita di strada, miseria, disperati tentativi di redenzione e brutalità famigliari, i quattro si muovono in un territorio nascosto della città, in un territorio che nessuno vuole vedere, fino a quando un brutale crimine stravolge le loro esistenze e quella di tutta la popolazione di Troumaron. Con una prosa intensa e poetica, a tratti brutale, ma senza mai scadere nel voyeurismo, Ananda Devi ha scritto un romanzo indimenticabile, un pugno allo stomaco per il lettore, e, grazie a una narrazione volontariamente frammentata, obbliga chi legge a riempire gli spazi e a immergersi nella dimensione emotiva dei personaggi, nella loro alienazione, nel loro corpo, plasmato da violenza e capace di resistenza estrema e di inevitabile trasformazione.

“Un sari verde maculato di chiazze brunastre di latte rappreso. Mussolina di seta costosa che un tempo aveva rivestito un corpo luminoso, oggi eviscerato di ogni bellezza. Quel verde singolare, verde acqua mattutina, verde degli uccelli al risveglio che vengono a bere, ormai irrecuperabile. Verderame verde tomba verde terra dannata. Che serpeggia a terra come una pista di zolfo. Mano lassa, scarna, scheletrica, che nulla aspetta, se non l’infinito.”

Anche ne Il sari verde (traduzione di Giuseppe Giovanni Allegri; Utopia Editore), Ananda Devi esplora la condizione femminile, e la violenza subita dalle donne, che diventano, loro malgrado, protagoniste della storia. Una storia ambientata a Curepipe, seconda città per importanza delle Mauritius, dove il narratore interno, un anziano medico onnipotente di origine indiana divorato dal cancro, ha scelto di morire. Segregato nella casa della figlia succube, e della nipote omosessuale, il vecchio si perde nelle oscillazioni della propria memoria, tra ricordi lontani e deliranti allucinazioni. Ripercorre la propria vita, mostrando un’esistenza di soprusi e angherie, fatta di vere e proprie torture psicologiche per umiliare, degradare e annientare le donne di famiglia. Un ritratto crudele e vivido di un patriarca misogino e manipolatore, custode di un terribile segreto e incapace di chiamare “violente” le tappe della sua vita, ottusamente convinto di generare amore e devozione.

Il sari verde è un romanzo commovente e durissimo, sensoriale ed evocativo, che scava a fondo, esplora il non detto e le frustrazioni interiori di un gruppo di donne in un contesto culturale molto distante da quello occidentale in cui siamo immersi.

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Il Fatto Quotidiano

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