Cercasi cervello per risparmio italiano: dove sbagliamo con i nostri soldi
- Postato il 7 giugno 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
.png)
Nel 2024, secondo l’ultimo rapporto della Banca d’Italia, la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ha sfondato quota 6.069 miliardi di euro. Avete letto bene: sei trilioni, con la “T” maiuscola. Una montagna di soldi che supera ampiamente il debito pubblico nazionale. Roba da far impallidire qualsiasi ministro dell’Economia, e da far venire l’acquolina in bocca a banche, promotori, fondi e chiunque abbia un prodotto finanziario da piazzare.
Negli ultimi 15 anni questa ricchezza è cresciuta del 57%, e viene naturale pensare: “Beh, allora siamo messi bene!”. Peccato che essere “ricchi” non voglia dire automaticamente essere protetti, né tantomeno consapevoli nella gestione del proprio denaro. Perché una buona parte di questa ricchezza (1.800 miliardi di euro) — udite udite — dorme beata sotto forma di liquidità parcheggiata nei conti correnti e nei depositi bancari, come se bastasse tenere i soldi fermi in banca per mettersi al riparo dalle tempeste.
E mentre l’inflazione rosicchia silenziosamente il potere d’acquisto, e i mercati offrono opportunità per chi sa guardare oltre l’orizzonte di un bancomat, noi italiani continuiamo a coccolarci con la vecchia favola del “meglio pochi interessi ma sicuri”. Sicuri? Forse. Pochi? Di questo passo, sempre di più.
Vediamo allora cosa ci racconta davvero questo tesoro finanziario delle famiglie italiane. E soprattutto: stiamo facendo la cosa giusta con i nostri soldi, o li stiamo solo lasciando marcire sotto una coperta di falsa sicurezza?
L’indagine della Banca d’Italia ci offre uno spaccato interessante — e a tratti grottesco — di come gli italiani gestiscono i propri risparmi. Oltre ai 1.800 miliardi parcheggiati nei conti e nei depositi bancari, una fetta consistente della ricchezza familiare è investita in azioni (1.745 miliardi), fondi comuni (1.332 miliardi) e obbligazioni (368 miliardi).
E qui si apre il grande paradosso: da un lato, circa il 30% dei risparmi è immobilizzato in liquidità, segno di un approccio iper-cauto, quasi fobico. Dall’altro, oltre il 60% è esposto a strumenti finanziari che richiederebbero un profilo di rischio più dinamico, consapevole e con un minimo di strategia alle spalle. Insomma, siamo prudenti… a metà. Il che, in finanza, è come guidare con il freno a mano tirato e l’acceleratore a tavoletta.
Il caso dei titoli di Stato — in particolare i BTP, vera passione nazionale — è emblematico. Ci si butta dentro a cuor leggero, attratti dal marchio di “sicurezza” e da un rendimento che sembra decente, senza però avere un piano, un orizzonte temporale, o un minimo di visione. Si compra perché “in banca me l’hanno consigliato”. Nessuno però si chiede: questo strumento è davvero coerente con i miei obiettivi finanziari?
Il risultato è un portafoglio schizofrenico, in bilico tra la paura di perdere tutto e il desiderio di guadagnare senza rischio. E, come spesso accade, tra questi due estremi… si finisce per perdere lucidità. E denaro.
E allora viene spontaneo chiedersi: se l’allocazione del risparmio è così confusa, se la prudenza convive con scelte rischiose fatte senza criterio, non sarà forse perché manca una vera guida, una strategia ragionata, una cultura finanziaria diffusa?
Non è un caso, infatti, se il governo e la Banca d’Italia oggi si stanno interrogando su come trattenere tutta questa liquidità all’interno del sistema economico nazionale. Perché diciamolo chiaramente: i soldi degli italiani fanno gola a tutti — banche estere, fondi internazionali, piattaforme digitali… Tutti vogliono attrarre questo risparmio, per poi investirlo altrove, spesso senza alcun ritorno concreto per il Paese e, talvolta, nemmeno per i risparmiatori.
Insomma, mentre le istituzioni cercano soluzioni per convogliare i risparmi privati verso l’economia reale, le famiglie italiane si muovono spesso senza bussola, guidate più dalla paura che da una logica d’investimento strutturata. Il problema è che questa enorme liquidità, se mal gestita, non solo non genera valore, ma finisce per alimentare meccanismi poco virtuosi.
Ed è qui che si manifesta in tutta la sua evidenza il grande paradosso italiano: da una parte, lo Stato fatica a trovare risorse per sanità, infrastrutture e crescita; dall’altra, i cittadini hanno miliardi fermi sui conti, o investiti in strumenti che — ironia della sorte — servono proprio a finanziare quel debito pubblico che lo Stato cerca disperatamente di contenere. È come se ci prestassimo i nostri stessi soldi… a condizioni tutt’altro che favorevoli.
L'articolo Cercasi cervello per risparmio italiano: dove sbagliamo con i nostri soldi proviene da Il Fatto Quotidiano.