Cop30, nessuna decisione concreta è stata presa. Ma resta senza precedenti la partecipazione di 900 indigeni
- Postato il 26 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Silvia Zaccaria
Global Mutirao Decision è il titolo all’apparenza incoraggiante del documento finale della 30esima Conferenza delle parti sul cambiamento climatico. In realtà però nessuna decisione concreta è stata presa e non c’è stato alcun consenso globale; solo l’ennesima conferma dell’accentuata frammentazione della comunità internazionale rispetto al cambiamento climatico.
Lasciamo quindi Belém con l’amaro in bocca per le promesse infrante proprio lì, nel cuore dell’Amazzonia, in quella che doveva essere la Cop della Verità.
La partecipazione di 900 indigeni, seppure in veste di meri osservatori (“party overflow”, cioè letteralmente “fuori delegazione”) – o “kuntari katu” (letteralmente “quelli che parlano bene”), come hanno scelto di autodefinirsi ricorrendo ancora una volta ad un termine della lingua “generale” amazzonica – alla programmazione ufficiale dell’evento, ha rappresentato senza dubbio un fatto senza precedenti nella storia delle Cop.
E se in più occasioni “la zona azul” che ospitava le negoziazioni è stata teatro di proteste da parte loro, è perché questi continuano ad essere esclusi dalle decisioni che li riguardano. I grandi progetti infrastrutturali ed energetici recentemente promossi dal governo Lula sono infatti in palese contrapposizione con le dichiarazioni che riconoscono l’importanza della delimitazione e protezione dei territori indigeni e tradizionali come strumento di mitigazione e lotta al cambiamento climatico e i diritti dei popoli e comunità su di essi.
Nell’agosto 2025 il presidente brasiliano ha firmato il decreto 12.600/2025 che trasforma tre fiumi amazzonici – Tapajos, Tocantins e Madeira – in merce nelle mani di grandi imprese private. Sempre nell’area del Tapajos, oltre all’idrovia omonima, è prevista anche una ferrovia, ribattezzata ferrograo, perché trasporterà prodotti agricoli (e minerari) dal Mato Grosso verso i porti del Parà. Infine, nell’ottobre scorso, la Petrobras ha ricevuto l’autorizzazione da parte dell’Ibama alla trivellazione di pozzi esplorativi di petrolio a 150 km dalla foce del rio delle Amazzoni.
Il riconoscimento di 14 nuove terre indigene e l’apertura di un dialogo sul progetto Tapajos hanno rappresentato solo una magra consolazione. Si stima che altre 70 terre siano in attesa di essere delimitate e il processo è lento e oneroso. Intanto, proprio durante la Cop, l’ennesimo leader, esponente del martoriato popolo Guarani Kaiowa, è stato ucciso durante la retomada (rioccupazione) del territorio ancestrale. Per questo gli indigeni rimasti fuori dalla Cop (circa 6.000) si sono uniti alle 70.000 persone dei movimenti sociali, popoli della foresta, del campo, delle periferie, per portare la propria voce al “Vertice dei popoli” e per le strade della città nella marcia per il Clima.
Il popolo Kayapò, originario proprio dello stato popolo del Parà, era il più presente alla Cop. I riflettori erano tutti puntati sul grande Cacique Raoni che con i suoi 93 anni incarna la storia del movimento indigeno brasiliano. Eppure anche lui è stato lasciato a margine delle negoziazioni. Intanto, nella “zona verde” decine di donne della sua etnia, sedute a terra, occupavano i corridoi con bracciali, collane ed orecchini di perline che ripetono i grafismi ispirati alle loro cosmologie. Abbiamo chiesto alle organizzatrici perché non fosse stato dato loro uno spazio adeguato per esporre quegli oggetti artigianali che sono delle vere opere d’arte. Ma loro, con arroganza, ci hanno risposto: “quale arte?’”. Altre erano intente a procurarsi qualche real realizzando sulle pelli biancastre dei partecipanti tatuaggi tribali. Perché l’estetica indigena, oggi, è di moda.
Mentre la rioccupazione degli spazi fisici arranca, gli indigeni guadagnano sempre più spazio a livello simbolico e permeano gradualmente la società con i propri linguaggi, segni, valori e visioni di futuro radicate nell’ancestralità. Un contributo prezioso, forse più di tanti vertici, allo sforzo comune per provare a rimandare la fine del mondo.
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