Gaza, il disprezzo dei diritti erode l’essenza della vita umana. Ma c’è una cosa che non si può distruggere
- Postato il 12 giugno 2025
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di Dafni Ruscetta
Qual è il rapporto tra libertà, ricerca della bellezza e la desolazione di Gaza? La risposta, che proverò a sintetizzare in queste poche righe, tratta i temi filosofici della dignità e della resilienza umana. Anzitutto considerando gli esempi quotidiani di chi sceglie la bellezza come forma di resistenza contro la barbarie, ma anche accogliendo il potere della libertà interiore, il nucleo sacro che sostiene l’individuo persino in circostanze estreme.
Per adottare questo spirito, tuttavia, è utile sottrarsi alla visione un po’ romantica del semplice giudizio intellettuale e astratto sul mondo e sulle sue tante deformazioni. Occorre piuttosto riconoscere un’intelligenza umana più estesa, non misurabile con alcun rigido quoziente, ma che ammetta più dimensioni, in particolare quelle psicologica e spirituale espresse anche dalla massima del mondo greco antico “conosci te stesso”.
L’azione di graduale distruzione di Gaza, ad opera di una cinica élite al potere – e non di un intero popolo – mostra, ancora una volta, che il disprezzo dei diritti altrui erode gradualmente l’essenza della vita umana. In questo senso anche Papa Francesco ha incoraggiato a considerare la giustizia e la bellezza come indivisibili, mostrando che l’etica non può essere interpretata e manipolata a piacimento. In quei momenti, tra immani atrocità e desolazione, tra eros e thanatos, cosa resiste come ultimo baluardo di umanità? I segni di una bellezza custodita in fondo all’anima, la testimonianza di chi reagisce come può all’umiliazione continua. È la gioia dei piccoli gesti ed eventi spontanei del quotidiano che, ad esempio, ispira un musicista a intrattenere il vicinato di una strada che non esiste più con le note di uno strumento scampato alla devastazione, un gruppo di bambini sopravvissuti ai bombardamenti a improvvisare una partita di calcio tra le macerie, un raggio di sole al tramonto che penetra da una finestra di un appartamento sventrato, un ciuffo d’erba che cresce tra i calcinacci.
Oppure la grazia di chi realmente prova a confrontarsi con la sofferenza altrui: la compassione, il tocco delicato che diventa cura, nei confronti di tutto quanto è vita, la comprensione – che guarda alla sfera più intima dell’essere, alla coscienza – che non siamo mai separati gli uni dagli altri. Così, tra i vicoli squarciati di Gaza, ogni richiamo alla bellezza descrive la coraggiosa sfida esistenziale con cui l’essere umano comprende di essere più grande della sua sofferenza, anche la più atroce. Non negando dunque la sofferenza, ma considerandola una possibilità di crescita, imparando a riconoscere la luce nell’oscurità.
Viktor Frankl, filosofo e psichiatra austriaco di famiglia ebrea, sopravvissuto ai campi di sterminio, scrisse che una persona può essere privata di tutto, tranne dell’autentica libertà umana, quella capacità interiore che consiste “nell’atteggiamento che assumiamo verso il nostro destino esteriore”. Analogamente, il professor Ferdinando Brancaleone, in una delle sue lezioni di antropologia esistenziale, sostiene che un individuo ‘consapevole’, che sa distinguere i propri scopi interni (“conosci te stesso”) da quelli esterni, sarà sempre in grado di praticare la libertà interiore, che è inviolabile. Fino a quando sapremo mantenere un contatto con il nostro nucleo essenziale ci sarà sempre uno scopo soggettivo che ci orienta, che ci rende liberi, come dimostrò anche Antonio Gramsci durante gli anni del carcere. La nostra essenza, che è unica e irripetibile e che non può essere cancellata dalle bombe o soffocata dalla fame, non può togliercela nessuno.
La tragedia di Gaza ci aiuta a comprendere che non tutto può essere soppresso, anche nelle azioni di guerra più spietate, che c’è sempre un principio immortale a cui l’uomo può attingere, con buona pace di Netanyahu e di chi – a qualsiasi livello delle nostre società: politica, media, social network etc. – ancora minimizza, o addirittura tollera giustificandolo, quel massacro continuo.
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