Giovanni Brusca è un uomo ‘inutile’, ma non ci si deve indignare per la sua liberazione: è giusto così
- Postato il 5 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Durante un recente incontro con gli studenti in terra corleonese, ebbi a definire i mafiosi “un agglomerato di menti bacate”. Ebbene, ho anche aggiunto che sono uomini inutili che, nel gergo siciliano, significa uomini di scarso valore, ovvero senza onore e dignità.
Detto ciò, un uomo che definisco il principe degli “uomini inutili” è senza dubbio Giovanni Brusca, non già per l’attentato di Capaci, ma per aver pianificato in quel di Misilmeri – insieme a Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro – il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo. Il bambino fu sequestrato e tenuto prigioniero per 779 giorni, per poi essere ammazzato e sciolto nell’acido. Il ricordo che mi tormenta è che, mentre facevamo di tutto per rintracciare il piccolo Giuseppe, io e alcuni colleghi della Dia pedinavamo la moglie di Brusca mentre conduceva il figlio all’asilo. La nostra speranza era di intercettare Giovanni Brusca durante il tragitto. Contestualmente avevamo piazzato le cimici in casa della donna. Ma la frase che frequentemente rimbomba nella mia mente è quella di Giovanni Brusca, che telefona al carceriere e ordina l’uccisione di Giuseppe: “Ammazzati u canuzzu”. Uccidete il cagnolino.
Quante notti e giorni che non finivano mai per poterlo catturare. Un giorno un “uccellino” ci disse che in un’abitazione isolata nel territorio di Altofonte (Palermo) poteva trovarsi Giovanni Brusca. Un pomeriggio, io con altri due facemmo un rapido (pochi secondi) sopralluogo per localizzare la casa e programmare gli appostamenti successivi. La stessa notte, acclarando che in quel momento l’abitazione era disabitata, entrammo e installammo dappertutto le cimici. Quella casa rimase per lungo tempo “silenziosa” e solo dopo il pentimento di Giovanni Brusca capimmo il motivo di quel silenzio.
Lo stesso Brusca racconta in un interrogatorio che, avendoci notato, disse a Leoluca Bagarella: “Ora esco col furgone, se noto sbirri e mi fermano li ammazzo tutti”. Ma noi eravamo già lontani e quindi non sapemmo se effettivamente Brusca uscì. Rifletto spesso su un probabile incontro con lui quel pomeriggio e sono giunto alla conclusione che quel giorno il signor Giovanni Brusca fu davvero “un uomo fortunato”.
Tutto questo il passato; ora vengo al presente. Non capisco l’indignazione che sta procurando la libertà ottenuta da Giovanni Brusca. Signori: è una legge voluta fortemente dal dottor Giovanni Falcone, una legge premiale che riconosce benefici a coloro che si dissociano dalla mafia e si pentono collaborando con lo Stato. Come uomo, come siciliano, potrei anche non essere d’accordo: ma per i motivi che ho esposto, e come ex poliziotto che ha avuto modo di “lavorare” con nove pentiti di Cosa Nostra – compreso Tommaso Buscetta – dico che va riconosciuto al Brusca il fattivo apporto che ha dato allo Stato.
Di una cosa sono sicuro: che se non ci fossero stati i collaboratori di giustizia, la lotta alle mafie sarebbe come ai tempi dei processi di Bari e Catanzaro, quando i mafiosi – compreso Riina – venivano assolti. E che dire sul fatto che prima dell’entrata in vigore del 416/bis non si poteva scrivere la parola “mafia” nei rapporti giudiziari? Oppure che l’ex capo di Cosa nostra Michele Greco detto il “Papa” era titolare di porto d’armi rilasciato dalla questura di Palermo, mentre noi tutti picciriddi sapevamo benissimo qual era il suo ruolo nel nostro territorio? Solo dopo il Rapporto dei 161 (prodromo del maxiprocesso) inviato a Rocco Chinnici, redatto da noi della Squadra mobile e dai carabinieri, fu revocato il porto d’armi.
Concludo dicendo che, nonostante le nefandezze compiute da Giovanni Brusca – la cui famiglia, prima il padre Bernardo e poi i figli Giovanni e Enzo, mi fecero perdere giorni e notti – è giusto che egli oggi sia un uomo libero. Comunque non pensiate che sia del tutto libero. Ha degli obblighi ben precisi.
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