Un saggio e una riflessione: “La scuola non è mai stata fondata sul merito”
- Postato il 3 giugno 2025
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di Michele Canalini
È chiaro che l’economia oggi sia al centro del pianeta, ancora di più dopo la seconda elezione di Trump. Che il presidente americano, ma non solo, abbia fatto dell’economia un valore superiore a tutti gli altri (il fare più soldi possibili, in sostanza) è inoltre evidente a tutti. Questo accade pure in Italia e purtroppo non potrebbe essere altrimenti. Ma è sempre stato così?
C’è un interessante saggio, uscito di recente, a firma di Luigino Bruni, intitolato Il campo dei miracoli. Viaggio economico nei capolavori della letteratura che affronta la visione dell’economia da parte di alcuni grandi esponenti della nostra tradizione letteraria. In particolare, è interessante la visione che ne ebbe il sommo poeta: “Dante ha guardato i mercanti con occhio aristocratico, serbando nel cuore la nostalgia di una ‘Fiorenza’ nobile perché non ancora commerciale. I ‘novatores’, divenuti ricchi grazie ai commerci e alle banche ma non abbastanza civili, sono per lui la principale causa della decadenza della sua città e dell’abbandono della ‘cortesia e del valor’”.
Non è così invece, per, Boccaccio, che mette in luce un cambiamento di mentalità: l’economia è il risultato di una virtù, ovvero quella capacità dei mercanti di mettersi in gioco in una qualche attività che fornisca un profitto basato su interessi comuni e reciproci, seppur soggetta ai capricci della fortuna. Dunque, l’economia si presenta come un valore positivo, “perché impegnarsi per qualcosa di incerto e di non stabile è più lodevole che impegnarsi per cose solide e sicure. Spendere la vita per un bene per sua natura effimero e non sorretto quasi mai dalla legge del merito rende anche la mercatura degna di lode”, sostiene il Bruni.
Quello che, a mio avviso, risulta ancora più interessante è però il passaggio dell’autore dall’economia all’istruzione, proprio nel momento in cui resta sempre in primo piano il tema della virtù. O, meglio ancora, del merito legato alla virtù. Scrive Bruni, parlando di un altro grande classico della nostra letteratura: “Il libro Cuore è un libro sulla scuola, e quindi non è un libro sul merito. La scuola non è mai stata fondata sul merito. Se la guardiamo da lontano, rimanendo in superficie, vediamo i voti, qualche bocciatura, e pensiamo che la scuola somigli alle imprese: i voti come i salari, il profitto scolastico come l’avanzamento di carriera”.
La virtù, dunque, consisterebbe nel valorizzare i singoli talenti e farli fruttare a scuola, così come in un mercato. Ma qual è il merito a scuola se si hanno dei talenti ereditati per natura? Proprio per questo la scuola deve agire al contrario di un’impresa. Deve, cioè, “ridurre le diseguaglianze che la meritocrazia, cioè l’ideologia del merito, invece incrementa”.
Solo una scuola che sappia conservare e allo stesso tempo accrescere il diritto all’istruzione di tutti e i diritti anche degli allievi “non talentuosi” potrà dirsi una scuola davvero democratica. Quasi come la scuola di Cuore che diede la medaglia a Derossi, il primo della classe, ma diede pure un altro tipo di medaglia a Precossi, figlio di un fabbro che lo picchiava, eppure studioso a scuola nonostante le difficoltà economiche e familiari.
La scuola non è impresa. Mentre la classe dirigente che dovrà tenere le redini della futura economia dovrà percorrere altri canali di formazione, oltre a quello scolastico, lasciando invece all’istruzione pubblica il compito prioritario di garantire libertà e parità di diritti a tutti. In caso contrario, avremo la legittimazione delle diseguaglianze, che è il passo precedente alla fine della democrazia.
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