Gli Emirati investono un miliardo di dollari per l’intelligenza artificiale sull’Africa: una svolta strategica

  • Postato il 26 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il recente annuncio di Abu Dhabi di investire un miliardo di dollari nello sviluppo di infrastrutture di intelligenza artificiale in Africa non è un episodio isolato, ma segna una svolta strategica per la trasformazione digitale continentale, ultima tappa di una lunga strategia di penetrazione economica ed energetica del Golfo nel continente.

L’iniziativa “AI for Development”, presentata al G20 di Johannesburg – dove gli Emirati sono stati invitati alla riunione come ospiti dal presidente sudafricano Cyril Ramaphosa – promette di estendere capacità di calcolo, data center e applicazioni IA in settori come sanità, educazione e adattamento climatico, affiancandosi a progetti già esistenti nel campo dell’energia e delle grandi infrastrutture.

Dietro la retorica dello sviluppo inclusivo, la domanda è: chi controllerà domani i “rubinetti” dell’energia e i “cervelli” digitali africani? Per Abu Dhabi, la strategia ha una logica economica piuttosto semplice. L’Africa è il continente dove la popolazione cresce più velocemente al mondo, le città si espandono a ritmi vertiginosi e la domanda di energia è enorme ma largamente insoddisfatta: più di 600 milioni di africani ancora oggi non hanno accesso regolare alla corrente elettrica. Gli investimenti dichiarati si concentrano sulle infrastrutture di intelligenza artificiale, ma per loro natura richiedono necessariamente nuova capacità energetica (incluse le rinnovabili) e il potenziamento delle reti elettriche. Questo serve a permettere ai paesi africani di reggere il carico digitale e colmare il deficit energetico complessivo. Da un lato le infrastrutture di intelligenza artificiale, dall’altro le fonti di energia necessarie per alimentarle.

Investire oggi in reti, data center e infrastrutture IA significa posizionarsi in anticipo su un mercato che, nelle previsioni, fra vent’anni avrà una classe media più ampia, maggiore capacità di spesa e anche una domanda strutturale di servizi elettrici e digitali. Nel frattempo, i clienti reali oggi sono i governi, che acquistano energia all’ingrosso e servizi digitali per sanità, educazione, amministrazione; e poi le grandi imprese multinazionali che operano in logistica, estrattivo, agro-industria, telecomunicazioni.

Il ritorno per Abu Dhabi, dunque, è multiplo: profitti industriali e finanziari, accesso privilegiato a risorse, influenza geopolitica e possibilità di orientare standard tecnologici e regolatori. L’elemento decisivo è la natura delle infrastrutture in gioco. Reti elettriche e data center non sono semplici impianti industriali: sono le ossa, i nervi e il cervello di una moderna economia. Chi li progetta, finanzia e gestisce può esercitare un’influenza profonda sulle priorità di sviluppo di un paese e, nei contratti riservati, questo potere passa attraverso concessioni pluridecennali in società miste dove l’investitore mantiene spesso quote e diritti speciali.

Il rischio è soprattutto negli Stati dove le reti nazionali sono deboli, poco organizzate, inefficienti o addirittura quasi inesistenti: Liberia, Sierra Leone, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Guinea-Bissau. In questi contesti, l’investitore straniero non solo costruisce l’infrastruttura, ma può di fatto dettare tempi, tariffe e condizioni.

Il quadro però non è uniforme. Esistono Stati africani che possiedono strutture pubbliche autonome e relativamente solide, con buone capacità tecniche e manageriali: Sudafrica, Marocco, Egitto, Tunisia, Algeria, Kenya, Ghana, Etiopia. Il problema è di scala: per gestire in autonomia moderni sistemi elettrici e le future piattaforme IA servirebbero ovunque migliaia di tecnici, ingegneri, data scientist, regolatori ben formati.

Oggi la formazione scolastica di base in gran parte dell’Africa subsahariana è scarsa, le università Stem (facoltà di ingegneria, fisica, chimica, informatica, matematica) sono sottodimensionate e sottofinanziate. La traiettoria verso l’autonomia è quindi possibile, ma tutt’altro che garantita. La questione non è tanto “se” l’Africa avrà più energia e più IA – questo, con capitali del Golfo, cinesi, europei o americani, è molto probabile – quanto “chi” controllerà le leve e “come” verranno distribuiti benefici e potere.

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