Il corpo secondo Carole Feuerman. Una mostra a Roma celebra l’importante scultrice americana
- Postato il 23 luglio 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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È un teatro di corpi in pezzi, frammentati ed eloquenti, quello che Carole Feuerman (Hartford, 1945; vive a New York) allestisce a Roma, negli spazi del seicentesco Palazzo Bonaparte: sospese tra realismo e divagazione onirica, tra esattezza mimetica e intimi flashback, le sculture dell’artista americana quasi si sporgono verso uno spazio mitologico, di fiaba, spezzando la trama della cronaca e dribblando l’effetto d’illusorietà. Formatisi nell’era della Pop Art e poi misuratisi agli inizi degli Anni Settanta con la diffusa tendenza alla restituzione fedele della figura umana, Feuerman è stata a lungo annoverata tra i grandi iperrealisti americani, avvertendo però questa collocazione critica come fuorviante rispetto alla sua cifra. E in effetti così è. Bene lo dimostra questa mostra curata da Demetrio Paparoni, prima retrospettiva europea, che attraverso un’efficace e ampia selezione di opere (giusto un segmento di una produzione vastissima) riesce a restituire l’essenza del suo approccio narrativo e iconografico.
















Carole Feuerman, una superrealista pop
Dalle sculture degli esordi, meno note al grande pubblico eppure fondamentali per una lettura profonda del lavoro, passando per gli affascinanti disegni giovanili, praticamente inediti, si attraversa l’intera avventura scultorea di Feuerman. Un mondo eterogeno, per un’artista che nell’arco di cinquant’anni ha costantemente indagato le ragioni della sua ricerca, coltivando un linguaggio coerente ma non smettendo di mettersi in gioco.
A definire questo personale universo popolato di presenze per lo più femminili – donne comuni, danzatrici, nuotatrici, ninfe e dee del contemporaneo – è il concetto di “Superrealismo”. Sbocciato agli inizi del Novecento in ambito letterario, poi approdato al linguaggio dell’arte, il termine custodisce il riferimento al reale e ne suggerisce tuttavia un parziale superamento: non in chiave fantastica, psicoanalitica, distorta, straniata – come nel caso del Surrealismo, a cui resta prossimo e alternativo – ma sul filo di sottili spostamenti che spingono l’oggetto e la sua fedele rappresentazione verso forme di sospensione e di incantesimo. Qualcosa che potremmo forse avvicinare al concetto di “Realismo magico” e che nel caso di Feuerman mantiene un legame forte con la Pop americana, nella serialità, nella leggerezza, nell’aderenza perfetta al quotidiano, nello slancio comunicativo.
Dalla grafica alla scultura, gli esordi di Feuerman
Formatasi alla School of Visual Arts di New York, Feuerman lavorò con lo pseudonimo di Carole Jean nel settore del graphic design e dell’illustrazione, collezionando incarichi in ambito musicale e realizzando copertine di dischi o poster per star come Alice Cooper e i Rolling Stones, premiati ed esposti dall’American Society of Illustrators. Alcune rare testimonianze di questo breve periodo sono esposte nella sezione introduttiva del percorso. Intanto, la pratica della scultura era esplorazione parallela, via via sviluppata attraverso la tecnica del calco dal vivo: è qui che troverà a un certo punto la propria dimensione, scegliendo di abbandonare la grafica e i progetti commerciali per concentrarsi sulla ricerca autoriale pura.
Protagonista sarà il corpo, sempre. Oggetto del desiderio e di ricomposizione minuta, meticolosa. Corpi in resina dipinti a olio, restituiti con accurata verisimiglianza, che però se ne infischiano di mimetizzarsi con il quotidiano e che sperimentando piuttosto quest’idea di frammentazione, di incompiutezza, persino di overscaling, nell’occasionale monumentalità che spiazza e allontana dal vero.

I primi lavori erotici in mostra a Roma
I lavori degli Anni Settanta a tema erotico segnarono il suo debutto nell’art system. Un esordio, però, che scontò subito una battuta d’arresto: le opere vennero smantellate all’indomani della presentazione in una galleria di Forth Worth, in Texas. Era il 1978 e il contesto locale non era evidentemente pronto all’irriverenza di quei brandelli di corpi dediti al piacere, tra close up di natiche, mani, inguini, gambe, ciocche di capelli, lingerie e dita affondate nella carne. Nessun volto, nessuna identità, nessuna figura. Un distillato universale di godimento e di dolcezza, restituito con realistico vigore. Dell’amplesso e del contatto amoroso restavano decine di reperti muti ma squillanti, traboccanti di passione e di colore, porzioni dai contorni irregolari strappati ed esposti come altorilievi: un catalogo di feticci postmoderni, di brani di memorie personali, di scene sottratte a un immaginario erotico figlio della cultura pop.
Ma approfondendo le passioni e le ispirazioni dell’artista, appare chiaro un rimando parallelo all’archeologia, al frammento classico e a quegli autori moderni che, a partire dal XIX Secolo, iniziarono a ragionare per ritagli ed assemblaggi, utilizzando singoli calchi ed elementi corporei come materia prima per ricomposizioni eterodosse. Su tutti, il grande August Rodin.

Dopo l’eros, il realismo delle nuotatrici
La produzione successiva subì una sterzata, dopo l’esperienza controversa con quelle prime sculture audaci, figlie di un empowerment femminista e di un’emancipazione sessuale che andavano imponendosi nella società americana, soprattutto nel contesto delle grandi metropoli come New York, ma che non trovarono immediato ed allargato consenso.
Inizia così la fortunata ricerca sulla figura femminile, in particolare sull’immagine delle nuotatrici, creature aggraziate e fiere, atletiche, flessuose, emerse dall’acqua mentre offrono al sole la pelle ambrata ricoperta da piccole gocce trasparenti sorprendentemente realistiche. Un riflesso dei ricordi di Carole bambina, nella casa d’infanzia sulle spiagge di Long Island, affiora in lontananza.
Gli occhi sempre chiusi, così come i volti abbandonati a un rapimento lieve, liberano l’immagine dalla gravità del suolo e del qui e ora, proiettandola verso una dimensione meditativa, fluida, emotiva, mentale. Ne avrebbe scolpite a decine nel corso degli anni, con infinite variazioni su tema, dando vita alle sue icone più popolari. Catalina, fondamentale opera-cerniera del 1978, fu la prima: aggettante dal muro, avvolta in un costume olimpionico rosso, gli occhialini sulla testa e l’acqua che brilla sul corpo monco, non raggiunge la compiutezza della figura intera a tutto tondo, abitando ancora in qualche modo lo spazio del frammento e dell’evocazione.

Danzatrici e naufraghe
E il frammento tornerà, a più riprese e di continuo, in una produzione che si popolerà via via di corpi integri e cesellati: è il caso di piedi e polpacci di ballerine, con tanto di scarpette di danza rosa, in cui si intravedono reminiscenze dei capolavori di Degas – ripresi in alcune successive sculture di danzatrici – e altri ricordi di gioventù legati al mondo al balletto classico. Ed è il caso della serie di “sopravvissute” (così ha amato definirle lei stessa), ancora teste e busti di nuotatrici con le loro cuffiette, le palpebre chiuse e una trama di stille d’acqua sul viso: tutte aggrappate ai loro salvagenti, resistendo e insieme abbandonandosi alle correnti, reali e metaforiche. Nel tempo questo tema si sarebbe sviluppato secondo diverse scale e palette cromatiche, accarezzando una progressiva leggerezza, tra il ludico e il fiabesco; il primo esperimento fu però quello di Innertube (1984), opera raffinatissima, in cui il ruvido gonfiabile nero, a contrasto con la delicatezza sognante del viso adolescenziale, è un diretto rimando alle camere d’aria e alle zattere di fortuna utilizzate dai profughi cubani in fuga verso le coste della Florida (dove Feuerman aveva vissuto da ragazza) durante il regime di Fidel Castro. Poco prima, nel 1981, era nata EN 2-0178, ambiguo rimando a quei fatti di cronaca, sintetizzati da due braccia aggrappate a un copertone: un altro frammento a parete, non più erotico ma velatamente drammatico.

Feuerman tra figure e frammenti. Bagnanti, atleti, corpi tatuati
La mostra romana, che al tema della frammentazione dedica un peso particolare, presenta più volte porzioni anatomiche e busti, esposti tra sculture intere d’ispirazione quotidiana, come quella della donna incinta, in bikini, adagiata su una poltrona gonfiabile (Mona Lisa, 2013), come la giovane atleta in tutina azzurra seduta su un maxi pallone da spiaggia arcobaleno (Bibi on the Ball II, 2022), o come la moderna venere al bagno, nuda e con i capelli a avvolti in un asciugamano, intenta a specchiarsi mentre emerge da un blocco informe, come un non finito michelangiolesco. E così ci si imbatte in coppie di teste colte nello slancio di un bacio affettuoso, in un paio di mani che afferrano degli stivali texani o che si offrono aggraziate allo sguardo, ingentilite da un guanto bianco di merletto. E ancora è uno splendido busto quello di Matteo (2008), giovane nuotatore che riporta a un realismo d’inizio Novecento: una rara presenza maschile, anch’egli assorto nei suoi pensieri, con gli occhi chiusi e la pelle umida, i lineamenti perfetti e una cuffietta da piscina sulla testa. Un atleta, sì, ma raffigurato nell’istante della quiete, non dello sforzo muscolare, con tutto l’equilibrio formale di un simulacro classico.
Una serie di torsi maschili e femminili, spesso di schiena, connotati da vistosi tattoo di gusto orientale, continuano a richiamare e attualizzare l’antico: frammenti a parete che raccontando un culto della bellezza eterno, tra turgore di muscoli e forme affusolate, su cui si si incidono ornamenti rituali d’inchiostro.







La sala degli specchi a Palazzo Bonaparte
Mai presentati al pubblico, e qui proposti con uno spettacolare allestimento, sono i tantissimi calchi, inclusi studi e scarti, realizzati negli anni da Feuerman per dar vita alle sue sculture. Dal 2022 sono stati raccolti all’interno di bacheche, come materia prima per future installazioni. Una modalità che richiama in modo inequivocabile la procedura di recuperi e assemblaggi adottata da Rodin nel suo studio di Meudon, a partire dal 1895.
Con il titolo Mitologie individuali la vasta collezione di gessi approda oggi a Roma per un primo esperimento, inserito in una struttura reticolare in acciaio e specchio firmata dal designer Marcello Panza. Sui vari livelli di questo dispositivo caleidoscopico, che occupa un’intera stanza dedicata, trovano posto mani, piedi, teste di diverse dimensioni, tutti elementi grezzi che portano con sé la memoria delle tante persone coinvolte nel processo del calco dal vivo.
Ne viene fuori un candido coro di voci, storie, frequenze e ricordi, armonizzati in un’unica macchina onirica intitolata all’idea di prototipo, di origine, di contatto e di ripetizione, mentre le superfici specchianti moltiplicano i soggetti all’infinito, alterando lo spazio e azzerandone i confini. Una wunderkammer immersiva, che invita a perdersi e a perdere le coordinate, mentre ci si accosta alla radice autentica del lavoro dell’artista per afferrarne la natura più intima e lirica, là dove il dato reale si infrange e si sgretola contro un piano sotterraneo di magia.
Helga Marsala
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L’articolo "Il corpo secondo Carole Feuerman. Una mostra a Roma celebra l’importante scultrice americana" è apparso per la prima volta su Artribune®.