L’artista Eugenio Tibaldi realizza un’opera permanente con e per le detenute del carcere di Rebibbia a Roma
- Postato il 23 luglio 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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È il frutto di un anno di incontri, laboratori e disegni condivisi tra Eugenio Tibaldi (Alba, 1977) e un gruppo di detenute della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia “Germana Stefanini” la realizzazione del progetto permanente promosso in occasione del Giubileo 2025. Un processo creativo che ha messo al centro la narrazione personale, tradotta in forma simbolica attraverso il disegno.
L’installazione “BENU” di Eugenio Tibaldi per il carcere di Rebibbia a Roma
Il titolo dell’opera che verrà presentata a dicembre 2025, BENU, rimanda a una creatura mitologica egizia, antesignana della fenice, simbolo millenario di rinascita. E la scelta non è casuale: “La reazione delle detenute alla proposta del progetto è stata meravigliosa, la larghissima adesione, il loro entusiasmo e impegno mi hanno coinvolto ancora più a fondo investendomi di una responsabilità e di una profondità a cui non ero preparato. Durante le giornate trascorse a Rebibbia ho avuto la netta percezione che la divisione fra chi è all’interno e chi non lo è sia davvero labile. La scelta di provare a immaginare insieme a tutte loro delle nuove fenici ha portato a elaborati intensi che ora con un ulteriore lavoro in studio sto cercando di sintetizzare per creare delle immagini finali che siano allo stesso tempo personali e comuni a tutti noi”, racconta l’artista.
Un progetto di arte partecipare al carcere di Rebibbia a Roma
Un progetto di arte partecipata, ma anche un gesto politico e culturale quello promosso dalla Fondazione Severino e dalla Fondazione Pastificio Cerere, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, con l’obiettivo di riconoscere alle donne detenute uno spazio di espressione, di racconto e, soprattutto, di rinascita. “Eugenio Tibaldi si è calato con profonda umanità e con un’empatia non comune all’interno del contesto carcerario, costruendo con le detenute una relazione forte che ha permesso loro di superare ogni forma di diffidenza, infondendo nuova fiducia nelle loro possibilità. Attraverso l’ausilio del disegno le detenute hanno potuto raccontarsi, mettendo a nudo i loro pregi e difetti che sono diventati altrettanti attributi di queste fenici immaginarie che diventano un autoritratto collettivo. Tibaldi ha sperimentato nel carcere una nuova modalità di committenza, dove l’opera d’arte torna ad essere materia viva che pulsa in uno spazio abitato da chi ha contribuito a realizzarla attraverso la manifestazione dei propri desideri e necessità”, spiega il curatore Marcello Smarrelli.
La Fondazione Severino e i percorsi culturali all’interno del sistema penitenziario italiano
L’iniziativa si inserisce nel più ampio programma della Fondazione Severino, che da anni promuove percorsi culturali e professionali all’interno del sistema penitenziario italiano. Come ha dichiarato Paola Severino “attraverso questo progetto speriamo di avere avvicinato al bello le detenute che vi hanno partecipato e di avere acceso un faro su un luogo dimenticato dai più, che meriterebbe invece maggiore considerazione. Attraverso il contributo della cittadinanza il carcere potrebbe infatti diventare davvero un luogo nel quale i detenuti vengano aiutati ad acquisire gli strumenti per un nuovo percorso nella legalità”.
Redazione
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