Il sindacato ha una sfida culturale davanti
- Postato il 18 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Mirta Marchesini*
Tra i temi affrontati nei dibattiti all’interno del Sindacato emerge una questione centrale: come può oggi il Sindacato diventare attrattivo per le nuove generazioni?
Questa domanda, già di per sé urgente, diventa ancora più pressante se inserita nel contesto di un mondo del lavoro in rapida trasformazione. L’introduzione e l’utilizzo crescente dell’intelligenza artificiale, ad esempio, stanno già modificando profondamente le dinamiche lavorative, ridefinendo non solo i processi ma i ruoli, le competenze richieste, le modalità di selezione, i ritmi e perfino le relazioni umane nei luoghi di lavoro. Proprio su questi temi si è sviluppato il seminario di approfondimento organizzato dallo SNFIA – Sindacato delle professionalità assicurative “La nuova organizzazione del lavoro. Tutele e diritti nell’età digitale”. La rivoluzione tecnologica in atto interroga infatti il Sindacato sui temi della qualità del lavoro, della libertà dentro il lavoro e sull’orizzonte dei diritti e delle tutele da affermare in relazione ai modelli di business che si stanno rapidamente imponendo.
In questo scenario, il ruolo del Sindacato non può più essere quello di presidiare semplicemente il già noto. Deve diventare attore consapevole dei cambiamenti in corso, capace di leggere i segnali del presente e di tradurli in tutela e rappresentanza. E qui entra in gioco la questione generazionale.
Le nostre analisi interne (mondo assicurativo, alte professionalità) sono chiare: l’età media delle iscritte e degli iscritti è compresa tra i 50 e i 60 anni. Questo significa che se non riusciremo a intercettare chi oggi ha meno di 30 anni, il rischio concreto è quello di un progressivo svuotamento di senso e di funzione sociale. Per “giovani” intendiamo in particolare coloro che si affacciano al mondo del lavoro prima ancora di aver costruito una famiglia o assunto carichi di cura: ragazze e ragazzi che spesso si trovano in bilico tra formazione, occupazione, somministrazione e contratti a termine, tra la speranza di una stabilità e la realtà di una precarietà che si prolunga anche oltre i trent’anni.
La domanda che ci siamo posti è come riuscire a diventare per loro un punto di riferimento reale, credibile, utile. Non un’istituzione distante o una voce che parla con codici del passato, ma un luogo vivo, capace di offrire risposte alle domande del presente.
E le domande, oggi, sono cambiate. Non basta più promettere un contratto a tempo indeterminato: la vera sicurezza, per un giovane, passa anche da altro. Parliamo della difficoltà a trovare casa, soprattutto in grandi città come Milano o Roma, dove il costo della vita è ormai fuori portata per chi inizia una carriera. Parliamo di percorsi di crescita professionale bloccati, della necessità di aggiornare costantemente le competenze, del bisogno di equilibrio tra vita e lavoro, del diritto alla salute mentale. Per questo motivo serve un’azione sindacale che metta al centro queste priorità, traducendole in diritti esigibili.
Il sindacato può e deve diventare un canale concreto per dare voce a queste istanze: welfare abitativo, percorsi formativi di qualità, politiche aziendali che riconoscano il valore delle nuove competenze digitali. In quest’ottica si inserisce la proposta avanzata a margine della tavola rotonda da Benedetta Cosmi, corsivista del Corriere della Sera, di prevedere da parte delle Aziende l’anticipazione del deposito cauzionale per l’affitto di un appartamento da parte dei giovani dipendenti, da restituire poi in busta paga a tasso zero: una misura concreta per favorire l’autonomia abitativa dei più giovani e sostenerne il radicamento professionale. In un mondo dove l’intelligenza artificiale renderà obsolete alcune mansioni, i giovani rappresentano invece una risorsa fondamentale per affrontare i cambiamenti: portano flessibilità, alfabetizzazione tecnologica, visione innovativa.
Ecco allora che serve un cambiamento di prospettiva: coinvolgere i giovani non come destinatari passivi ma come interlocutori attivi. Farli entrare nei tavoli di trattativa, ascoltarli, dare loro spazio. Perché non si può rappresentare chi non si conosce. E non si può parlare di bisogni che non si sono mai ascoltati davvero.
A questa sfida, però, non può rispondere solo il sindacato. È auspicabile che anche le aziende colgano l’opportunità di valorizzare davvero le nuove generazioni, non solo per responsabilità sociale ma anche come scelta strategica. In un’economia in continua trasformazione, i giovani possono portare competenze aggiornate, visioni nuove, flessibilità culturale.
Tuttavia, molte realtà aziendali sono ancora legate a modelli tradizionali, più prudenti nell’accogliere il cambiamento. È comprensibile, perché ogni transizione richiede tempo e fiducia reciproca. Ma proprio per questo il dialogo tra le parti diventa essenziale. Il sindacato può farsi ponte, facilitare l’incontro tra bisogni nuovi e pratiche consolidate, promuovendo soluzioni condivise.
Il futuro del lavoro non può essere costruito senza le voci di chi quel futuro dovrà abitarlo. E in questo, Sindacato e aziende hanno una responsabilità comune: creare insieme spazi di ascolto autentico e di costruzione concreta. Il Sindacato ha una sfida culturale davanti, prima ancora che organizzativa: passare dalla difesa dell’esistente alla costruzione del possibile. Solo così potrà avere un ruolo nelle vite di chi il lavoro lo sta ancora cercando – o sta cercando di dargli un senso.
* Segretaria Nazionale e titolare delle Delega alla Contrattualistica di SNFIA. Questo articolo è frutto della riflessione avvenuta nel corso dei dibattiti nell’ambito del Consiglio Direttivo Nazionale di SNFIA Sindacato Nazionale delle professionalità assicurative che si è svolto a Riccione dal 6 all’8 maggio 2025.
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