Intervista a Giuliana Cunéaz. Una pioniera della New Media Art in Italia  

Giuliana Cunéaz (Aosta, 1959) è un’artista che ha fatto del dialogo tra arte e tecnologia la cifra del proprio lavoro. Nel corso della sua carriera ha sperimentato linguaggi diversi, dalla scultura alla videoinstallazione, fino all’uso della computer grafica 3D. Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Torino, già nel 2004 ha iniziato a lavorare con il 3D, tra le prime in Italia, aprendo una strada che l’ha portata a intrecciare costantemente l’universo scientifico con quello creativo. Le sue opere indagano l’invisibile, le strutture intime della materia, e le possibilità che i nuovi strumenti digitali offrono all’immaginazione artistica. Reduce dalla vittoria del Primo Premio del Pubblico all’Opline Prize International, Cunéaz torna ora con un progetto di rilievo: Wunderkammer Digitale, in programma fino al prossimo 15 dicembre al Museo Archeologico Nazionale della Lomellina di Vigevano, all’interno del Castello Sforzesco. Fulcro dell’esposizione è Matter Waves Unseen, installazione che combina sculture in creta cruda e animazioni 3D, poste in dialogo con i reperti archeologici romani della Collezione Strada. Un’opera che rilegge in chiave contemporanea la tradizione delle camere delle meraviglie, trasformandola in un terreno di incontro tra passato e futuro. L’abbiamo incontrata per parlare di tecnologia, di ricerca artistica e del senso di meraviglia che attraversa il suo lavoro. 

Giuliana Cunéaz
Giuliana Cunéaz

Intervista a Giuliana Cunéaz 

Sei stata tra le prime in Italia a utilizzare la computer grafica 3D nell’arte già dal 2004. Come è cambiato, in questi vent’anni, il tuo rapporto con la tecnologia e la percezione del potenziale espressivo del digitale? 
È cambiato molto anche se la spinta a utilizzarla per le sue grandi potenzialità rimane la stessa. Ho sempre sentito il desiderio di andare oltre la staticità e nel 2003 la scoperta del 3D è stata per me una svolta. In quella tecnica erano racchiuse tutte le discipline, dalla scultura alla pittura, dalla fotografia al cinema. Compresi subito che potevo creare mondi soltanto miei senza dovermi affidare a soluzioni posticce o apparati scenici da filmare. Avevo finalmente l’opportunità di poter modellare forme e paesaggi basandomi sui miei progetti e in seguito animarli. Il problema erano le tempistiche. Ogni lavoro richiedeva mesi di lavoro e quando si arrivava al rendering finale era sempre un disastro in quanto i lavori risultavano troppo pesanti rispetto alle attrezzature che avevo a disposizione; spesso mi dovevo rivolgere a render farm che avevano costi elevati. Inoltre, non ero completamente autonoma e questo rendeva difficoltoso controllare tutte le fasi del lavoro.  

L’avvento dell’intelligenza artificiale ha cambiato il tuo modo di lavorare? 
Con l’uso dell’AI sono molto più autonoma e i tempi di lavorazione sono decisamente più rapidi. Trovo poi molto stimolante questa interazione e riesco a lavorare molte più ore al giorno rispetto a prima. L’AI è in continua evoluzione e si sviluppa con una rapidità impressionante. Lo stesso programma si perfeziona di mese in mese. Questo non sempre è un vantaggio in quanto tende a restituire immagini maggiormente omologabili. Diventa allora interessante riuscire a mantenere l’AI su un piano non prevedibile facendo compiere all’Intelligenza Artificiale “errori” funzionali per soddisfare le mie aspettative. 

Giuliana Cuneaz, Matter waves unseen, 2013
Giuliana Cuneaz, Matter waves unseen, 2013

L’installazione Matter Waves Unseen richiama le antiche camere delle meraviglie. In che modo hai reinterpretato questo concetto in chiave contemporanea, e cosa ti affascina di quell’idea di collezione? 
Ho lavorato vent’anni sull’osservazione di forme nanomolecolari celate all’interno della materia. Un universo ricchissimo da cui ho appreso molto. Ho detto spesso che lavoro sulla materia come un archeologo nel sottosuolo. La mia indole è quella dell’esploratrice; m’interessa andare oltre l’epidermide scoprendo le strutture germinali. Mi ha sempre incantata l’infinita quantità e varietà delle conformazioni esistenti in natura e spesso mi sono chiesta il perché di una o dell’altra forma. Cosa spinge le molecole ad aggregarsi in un modo piuttosto che in un altro? Nel 2003 ho scoperto, attraverso potenti microscopi elettronici, che la materia non è solo composta da particelle e atomi, ma esiste un’incredibile varietà di nanostrutture che ci ricordano il mondo visibile a occhio nudo a dimostrazione che le forme sembrano inseguirsi dal nanomondo al macromondo. Ho creato così un archivio digitale molto ampio con migliaia di immagini a cui mi sono ispirata per molti miei lavori. Ecco dunque che la Wunderkammer era la soluzione ideale per contenere alcune delle meraviglie che avevo scoperto. Ho realizzato un’animazione su onde di materia che portano alla luce vari oggetti, alcuni simili a reperti antichi e ho deciso di realizzarne alcuni in creta cruda e disporli nello stipo insieme alla sabbia in modo che sembrassero provenire direttamente dalle immagini video per poi essere depositati nei quattrodici cassetti. Ho scelto appositamente di modellare a mano la creta e di lasciarla cruda perché volevo creare un dialogo tra la più primitiva forma di scultura e quella più innovativa della computer grafica. 

Il progetto Wunderkammer Digitale unisce la tua opera a reperti archeologici romani. Come cambia il senso del tuo lavoro quando entra in dialogo con manufatti che hanno attraversato secoli di storia? 
Mi interessa molto la relazione dell’opera con lo spazio e il contesto in cui viene inserita. Posso dire che in questo caso, grazie all’iniziativa del Museo d’Arte Digitale che ha acquistato il lavoro, ho potuto esporre al MANLo, il Museo Archeologico Nazionale della Lomellina, un luogo di grande prestigio che merita di essere scoperto. Ebbene, la Wunderkammer ha trovato così la sua collocazione ideale in un contesto dove si sviluppa una sinergia ricca di conseguenze con i reperti esposti. Sono interessata all’archeologia e agli oggetti antichi in quanto rappresentano la sostanza del nostro passato e conservano un fascino da cui non si può prescindere. Ho collaborato diversi anni con il Museo Archeologico di Aosta e nel 2002 ho realizzato insieme ad un gruppo di esperti Glassway, un’importante mostra sul vetro dall’antichità al contemporaneo tra cui erano esposti anche molti oggetti di epoca romana. La bellezza e la ricercatezza delle forme realizzate nell’antichità è indiscutibile e in alcuni casi la loro contemporaneità ci lascia sbalorditi. I grandi artisti, così come i designer, sono sempre esistiti. 

Cosa è cambiato? 
La differenza tra ieri e oggi consiste nei mezzi di realizzazione, nella strumentazione disponibile e nel gusto. Attualmente le tecnologie ci offrono infinite opportunità e facilitazioni ma un uso del mezzo fine a se stesso non è sufficiente. Le tecniche sono solo una parte del lavoro; servono ricerca, studio, immaginazione, intuizione. Tanti ingredienti, insomma. Credo che in fondo, dietro al nostro “fare arte”, ci sia ancora quello spirito antico e sapiente che ha da sempre accompagnato l’essere umano nelle sue creazioni artistiche. Per quanto mi riguarda, ho sempre cercato una relazione tra il mondo digitale e quello tradizionale delle arti creando dialoghi e interazioni.  

Giuliana Cunéaz, Sogni (Fiori del deserto), 2024
Giuliana Cunéaz, Sogni (Fiori del deserto), 2024

La tua attenzione per il “nanomondo” rivela un’attrazione verso ciò che non è percepibile a occhio nudo. Cosa trovi di poeticamente o filosoficamente stimolante in questa dimensione invisibile? 
L’invisibile è un’opportunità, è come il vuoto o il silenzio. Lo possiamo riempire con la nostra immaginazione, lo possiamo saturare di supposizioni, lo possiamo perlustrare e studiare con i mezzi a disposizione o lo possiamo ignorare. L’invisibile viene esaminato nei laboratori di scienza, indagato dalla psicanalisi anche invocato nelle pratiche magiche; viene analizzato dalla filosofia e decantato nelle arti. L’invisibile insomma custodisce il mistero e fino a quando non si solleva uno dei tanti veli che lo proteggono, rimane tale. La sua forza di attrazione è costante, stimola la nostra curiosità, il nostro desiderio di conoscenza, le nostre speranze e anche parte delle nostre illusioni.  
 
Molte delle tue opere sembrano muoversi tra la meraviglia della scoperta scientifica e un senso di mistero quasi ancestrale. Come riesci a bilanciare questi due poli senza che uno prevalga sull’altro? 
Queste due anime convivono in me da sempre. Credo di essere una creatura antica nata in un periodo storico tra i più interessanti anche se difficili. Mi ritengo fortunata di avere a disposizione tante nuove scoperte e mezzi tecnologici che sfiorano la fantascienza e poter sperimentare nuovi linguaggi in arte con questo “sentire” primitivo e ancestrale. Devo però dire che proprio le più recenti scoperte scientifiche ci pongono di fronte a grandi misteri più che a grandi risposte. Basti pensare alla fisica quantistica e ai suoi paradossi, tema a cui ho dedicato Quantum Quirks, un lavoro realizzato nel 2024 per la facciata della School of Digital Arts di Manchester che verrà rielaborato ed esposto in ottobre a Singapore in occasione del Gran Premio di Formula 1. A questo punto sappiamo che la nostra visione classica del mondo è forse solo un’allucinazione e, come scrive Carlo Rovelli, “la solidità del mondo fisico sembra essersi sciolta nell’aria e proprio nella fisica ho trovato più castelli incantati di quanti sperassi“. Ecco credo che tra i due mondi ci siano molti punti in comune. Il mio scopo è quello di indagarli e comprenderne le relazioni.   

In un’epoca in cui l’AI sta rivoluzionando la creazione artistica, come vedi il ruolo dell’artista nella costruzione di questa interazione tra umano e macchina? 
L’AI è senz’altro una delle più importanti scoperte dell’umanità, è destinata a rivoluzionare il nostro modo di vivere e probabilmente anche quello di pensare e quindi di stare al mondo. Ci sono rischi, ma anche grandissime e nuove opportunità.  Il ruolo dell’artista continuerà a essere quello di sempre, ovvero utilizzare il mezzo senza farsi sovrastare avendo la capacità di trarne benefici conservando e sviluppando sempre una propria visione, un proprio linguaggio, una propria autonomia anche critica. La macchina offre un insieme di ottimi collaboratori ma se manca il progetto intorno a cui lavorare, se manca una guida che sa dove vuole andare, se manca il valore aggiunto che solo l’artista può dare, ci troviamo di fronte a un’accozzaglia di banalità senza capo né coda. Georges Braque diceva che “un’opera è tanto più riuscita quanto più grande è l’area di silenzio che crea intorno a sé”, e credo che questa definizione sia ancora di grande attualità. L’arte è un mistero pieno di contenuti in grado di animare mente, corpo ed emozioni. Oggi più che mai ci viene richiesta una lucida capacità di discernimento e di responsabilità critica in modo da saperci orientare e non affondare passivamente nel magma caotico sempre più prolifico di immagini e contenuti standardizzati e inutili.

Laura Cocciolillo 
 
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L’articolo "Intervista a Giuliana Cunéaz. Una pioniera della New Media Art in Italia  " è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

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