Intervista a William Kentridge e a Maria Teresa Venturini Fendi in occasione della mostra a Spoleto

In occasione del Festival di Spoleto la Fondazione Carla Fendi e Mahler & LeWitt Studios ospitano The Centre for the Less Good Idea, con la mostra Unhappen Unhappen Unhappen – Pepper’s Ghost Dioramas. Curata da Guy Robertson e Bronwyn Lace. L‘esposizione presenta quattro diorami animati, realizzati da Anathi Conjwa, William Kentridge, Micca Manganye e Sabine Theunissen, oltre al video Moments of making di Noah Cohen.  La mostra al Festival dei Due Mondi è la prima attività che The Centre for the Less Good Idea, fondato nel 2016 da William Kentridge e Bronwyn Lace a Johannesburg per sostenere gli artisti africani, svolge fuori dal Sudafrica. Per l’occasione abbiamo incontrato William Kentridge e Maria Teresa Venturini Fendi, presidente della Fondazione Carla Fendi.

Maria Teresa Venturini Fendi. Photo by Trabalza Jin
Maria Teresa Venturini Fendi. Photo by Trabalza Jin

Intervista a William Kentridge e Maria Teresa Venturini Fendi

Ludovico Pratesi: William, la tua relazione professionale con l’Italia comincia negli anni Novanta. Cosa significa per te il nostro Paese?
William Kentridge: In realtà il mio rapporto con l’Italia è cominciata nel 1961, quando avevo sei anni. Era il mio primo viaggio fuori da Johannesburg e dal Sud Africa: con la mia famiglia andammo prima a Levanto e poi a Roma.

L.P.: Cosa ti ricordi di Roma?
W.K.:  Ho dei ricordi molto forti, come l’impressione della Bocca della Verità e la fierezza del Mosè di Michelangelo, insieme all’entusiasmo di mio padre per la città. Da adulto ho avuto la fortuna di lavorare con la gallerista Lia Rumma. Grazie a lei ho realizzato molti progetti in diverse città italiane, più che in qualunque altra parte del mondo: spettacoli in molti teatri, mostre in diversi musei e opere di arte pubblica a Napoli e Roma.

L.P.: Disegni, sculture, installazioni, opere monumentali temporanee e permanenti. Il tuo sguardo si è rivolto molto spesso all’Italia. Come definiresti il tuo approccio alla nostra storia? 
W.K.: Non ho una passione specifica, a parte il mio interesse per la storia dell’arte e il piacere di passare del tempo nel vostro Paese. Ho guardato in maniera più approfondita al ruolo dell’Italia in Etiopia negli anni Trenta per il mio film anamorfico, e alla storia dell’Impero Romano per l’opera Triumphs and laments, il graffito murale sulle banchine del Tevere a Roma. L’ho analizzata come qualunque altra storia nel mondo, dove ogni evento eroico per qualcuno è una catastrofe per altri. É successo in tutti i paesi: ogni trionfo per l’Impero è una tragedia per il paese che lo subisce. Nella storia è sempre così. É accaduto in Sudafrica, negli Stati Uniti, in Germania, in Cina: non è una questione limitata all’Italia.

L.P.: Qual è la relazione tra i tuoi lavori teatrali e le opere d’arte?
W.K.: Tutto comincia sempre dal disegno. A volte rimane un disegno, altre volte viene ripetuto e diventa un’animazione, a volte una proiezione e quindi una performance teatrale. L’essenza è comunque un disegno: per me una performance teatrale è un disegno in 4 dimensioni che dura un’ora. 

L.P.: Come e perché hai deciso di portare a Spoleto The Centre for the Less Good Ideas?
Maria Teresa Venturini Fendi: Quando con i Mahler& Lewitt Studios ho conosciuto meglio la storia e l’identità di questo hub che Kentridge ha creato nel 2016 chiamando a collaborare con sé l’artista Bronwyn Lace, ho capito che il Centro non è solo un posto fisico dove ospitare il lavoro di performers, musicisti e artistiche altrove non avrebbero un luogo dove poter essere rappresentati, ma qualcosa di più, come afferma l’artista.


L.P.: Come lo definisce Kentridge?
MTVF: “Uno spazio di sicurezza per la stupidità”, frase che mi ha subito incuriosita. Ho capito che voleva offrire a se stesso e agli altri uno spazio di vera libertà creativa in cui avere fiducia nell’errore e nella possibilità di arrivare ad un risultato significativo anche sulla strada più tortuosa di un’idea “meno buona”. 

L.P: Cosa ti ha catturato di questo progetto?
MTVF: L’inedita scelta di esporre dei diorami animati nella mostra che abbiamo allestito a Spoleto. Il Centro infatti usa da anni la tecnica del Pepper’s ghost, che nel teatro vittoriano creava illusioni e apparizioni fantastiche, unendola oggi a proiezioni e video compositing. In questi mondi miniaturizzati e performativi, che hanno viaggiato da Johannesburg a Spoleto per la prima volta e che andranno in giro per l’Europa, Kentridge e alcuni artisti del Centro hanno creato dei piccoli palcoscenici per raccontare le loro storie, a volte dolorosamente legate ai temi del colonialismo e dell’apartheid, molto forti ma perfettamente ambientate nell’atmosfera rarefatta dell’antico ex battistero della Manna d’Oro.

L.P.: Come si inserisce l’attività del Centro nel progetto della Fondazione Carla Fendi?
MTVF: Ho sempre apprezzato moltissimo la bellezza e la profondità del lavoro di Kentridge; poi, mi piace anche molto questo suo desiderio di coinvolgere e confrontarsi con gli altri, di dare qualcosa di se stesso e prendere qualcosa dal lavoro del gruppo. Una filosofia collaborativa che è in linea con quello che la Fondazione da anni cerca di praticare nell’ambito dell’arte, della cultura e anche della scienza. Sono stata felice di aver approfondito la collaborazione attraverso i workshop e aver permesso al pubblico di incontrare Kentridge di persona durante la sua seguitissima lecture il 9 luglio. Anche per questo motivo ho voluto che fosse Kentridge a ricevere il premio Carla Fendi STEAM 2025, destinato a supportare le attività di The Center for the Less Good Idea.

Ludovico Pratesi 

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Autore
Artribune

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