Israele ha intrapreso un sentiero selvaggio: molti lì sono inorriditi, ma il massacro continua
- Postato il 4 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La parola genocidio, coniata nel 1944 dal giurista polacco R. Lemkin, si riferisce spesso al tentativo, fortunatamente fallito, di sterminio totale degli Ebrei. Come chiamare l’annullamento di altri popoli e della loro cultura, quando il tentativo ha successo? Come chiamare, ad esempio, la sorte dei nativi americani?
La violenta reazione alla colonizzazione europea li rendeva “selvaggi”. Nei film western i massacri dei coloni, di solito, sono solo evocati, come in Sentieri Selvaggi, in cui John Wayne-Ethan Edwards entra nella casa distrutta dall’incendio appiccato dai Comanche e trova i cadaveri massacrati della famiglia di suo fratello. Impedisce l’ingresso al figlio adottivo delle vittime per sottrarlo a qualcosa che lo avrebbe segnato per sempre, come segnò lui, portandolo su un selvaggio sentiero di morte. Il titolo originale (The Searchers) evoca la ricerca della nipote di Ethan, Debbie, sopravvissuta al massacro (una sorta di ostaggio); ma chi saranno i selvaggi del titolo italiano? I nativi, o anche i bianchi lacerati dal dolore, diventati essi stessi selvaggi?
Wayne-Ethan è talmente accecato dall’odio che sta per uccidere Debbie, oramai “inselvatichita”, per poi ricredersi all’ultimo momento, alzandola da terra. L’odio che rode Ethan lo avvicina alla barbarie che attribuisce ai Comanche: i “selvaggi” non sono solo i nativi americani, ma anche i cosiddetti “civilizzati” assetati di vendetta. Gli indiani non si riproducevano molto e in molti film parlano di coloni bianchi “numerosi come le cavallette”. Più ne uccidi e più ne arrivano, dicevano. Altri popoli sono più prolifici. Un amico egiziano mi disse che i Palestinesi hanno un’arma formidabile: i figli. Non ce la faranno ad ammazzarli tutti, mi disse. Intanto ci provano.
Moshe Feiglin, un politico israeliano, ha detto: “Il nemico non è Hamas, né il suo braccio militare… Ogni bambino a Gaza è un nemico. Dobbiamo occupare Gaza e colonizzarla, e non deve rimanere nemmeno un bambino gazano lì. Non c’è altra vittoria”. Gli fa eco Amit Halevi, un altro politico: “Nel reparto ortopedico dell’ospedale Al-Shifa hanno trovato 150 terroristi e li hanno uccisi. Allo stesso tempo, 300 terroristi sono nati nel reparto maternità”. Trecento! Itamar Ben-Gvir, Ministro della Sicurezza Nazionale, ha dichiarato: “Non possiamo permettere che donne e bambini si avvicinino al confine… chiunque si avvicini deve ricevere un proiettile [in testa]”.
Con queste premesse, l’idea di un unico stato per ebrei e palestinesi non è accettabile per gli ebrei, perché i palestinesi sono molto prolifici e, in regime di democrazia, vincerebbero le elezioni, essendo più numerosi degli ebrei. L’opzione due popoli due stati non rientra nei piani di Israele che, con i coloni, tende ad occupare i territori palestinesi. Molti arabi pianificano la distruzione di Israele che, intanto, sta pianificando l’eradicazione dei palestinesi da Gaza, come sta avvenendo anche in Cisgiordania. I superstiti saranno confinati in “riserve”?
Il massacro del 7 ottobre è una selvaggia reazione a questa politica e, per molti, giustifica l’annientamento delle belve palestinesi, bimbi inclusi. Un progetto non attribuibile al solo Netanyahu. Al processo di Norimberga, i militari che obbedirono agli ordini furono condannati. Se esegui un ordine criminale sei un criminale: non sei innocente se obbedisci all’ordine di uccidere bambini.
Ho amici israeliani e sono anche loro inorriditi, ma il massacro continua: Israele ha intrapreso un sentiero selvaggio. Forse i Palestinesi faranno la fine dei Comanche, e i coloni diventeranno i dominatori di quelle che un tempo erano le terre dei nativi. La storia la scrivono i vincitori; i Comanche hanno perso e si vedono riconosciuto oggi il ruolo di vittime: magra soddisfazione. Quel che resta del popolo delle pianure è confinato in riserve, ridotto ad un’attrazione turistica.
Ancora oggi i missionari cristiani convertono i nativi, sostituendo la propria religione con la loro. Togliere ad un popolo la sua religione è un genocidio culturale? Lo abbiamo fatto in Africa, in Sud America, Asia e Oceania. In passato ci fu qualche reazione e, quando i missionari finivano in pentola, arrivava l’esercito e puniva duramente i barbari selvaggi. Oggi tendiamo a esecrare questi comportamenti nei confronti di chi non condivide la nostra cultura e, magari, abita un territorio appetibile per i motivi più vari. Non so come chiamare quello che Israele, col suo esercito, sta facendo a Gaza, visto che sono in molti a dire che solo gli ebrei hanno subìto un genocidio, una parola, comunque, usata nel caso del Ruanda, quando gli Hutu, in soli cento giorni, sterminarono 800mila Tutsi.
La Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, del 1948, definisce il genocidio come “atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Il progetto di genocidio degli Ebrei non ha avuto successo, e Israele ha un esercito potentissimo a propria difesa, ma altre eradicazioni di popoli sono andate a “buon fine”, e una è in corso sotto gli occhi della comunità internazionale, e non è detto che riceverà la giusta condanna, oltre a qualche parola di riprovazione.
Gli ebrei chiamano Shoah il genocidio che hanno subito, i palestinesi hanno dato un nome a quello che stanno subendo: Nakba. Ora stabiliamo se Shoah e Nakba sono catalogabili entrambe come genocidi, così potremo accordarci su come chiamare il massacro di bambini a Gaza.
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