La casa non può essere un privilegio (specie se sei straniero): i numeri e le cose da fare contro la crisi abitativa
- Postato il 20 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Federica Corsi, responsabile policy di Oxfam Italia
Suicidarsi per uno sfratto, vivere nell’angoscia di restare in mezzo a una strada, sentirsi rifiutato perché “straniero”, accontentarsi di sistemazioni precarie, in nero o in condizioni abitative degradanti. Sono solo alcune delle tante vulnerabilità a cui sono esposte sempre più persone in molte città italiane, dove la questione casa si è purtroppo cristallizzata negli anni in una prolungata crisi abitativa, sui cui è più che mai urgente intervenire.
Tutto ha origine da un graduale disinteresse e disinvestimento del pubblico nelle politiche abitative, che negli ultimi 40 anni sono state di fatto lasciate sempre più alla mercé della regolamentazione autonoma del mercato. Un meccanismo che non ha fatto altro che favorire la rendita finanziaria e immobiliare, a fronte di un indebolimento delle politiche di welfare a tutela del diritto all’abitare, con le nefaste conseguenze sociali che oggi osserviamo.
La crisi abitativa in Italia tra “caro affitti” e turistificazione delle città
In un paese come il nostro in cui, diversamente dal resto d’Europa, vi è una forte propensione alla proprietà della casa, la crisi abitativa colpisce soprattutto il mercato degli affitti, con una forte correlazione tra le persone che vivono in affitto e l’incidenza della povertà assoluta.
Il disagio abitativo colpisce oggi in Italia circa un milione e mezzo di persone (ovvero il 5,3% delle famiglie italiane), ed il canone di locazione pesa in media per oltre 1/3 sul reddito familiare.
A un sempre minore investimento per l’ampliamento e la buona gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica e a un mercato dell’housing sociale ancora insufficiente rispetto alla domanda – e manchevole di un chiaro ed omogeneo quadro regolatorio a tutela della funzione primaria a cui deve rispondere – si sono aggiunte una sempre maggiore “turistificazione” degli spazi urbani e la trasformazione di quartieri popolari in aree per nuovi residenti con redditi più alti, la cosiddetta “gentrificazione”.
La conseguenza è stata la trasformazione delle città da luoghi dell’abitare a beni da promuovere e vendere, dove a guadagnarci sono in pochi, mentre a pagarne gli effetti sono i residenti di quei quartieri non più in grado di abitarci, in particolare le classi meno abbienti per cui il costo della vita diventa insostenibile e l’offerta di locazioni a lungo-termine si riduce drasticamente.
In controtendenza rispetto ad una domanda di casa ampiamente inevasa c’è poi il dato sui vuoti, ovvero il numero di abitazioni non utilizzate e non concesse in locazione: 6 milioni in tutta in Italia, circa l’11% del totale. Un dato che indica, come segnalato dagli esperti del settore, che il mercato degli affitti non è saturo ma bloccato.
L’aggravante dell’essere stranieri
In un contesto di crisi abitativa diffusa, nel rapporto curato da Oxfam e Agevolando, “Diritto alla casa. Non per tutti”, abbiamo analizzato le implicazioni per un segmento particolare di popolazione: i giovani, stranieri e non, all’uscita dal sistema di accoglienza o da percorsi di affidamento, che si avviano, senza una rete familiare e garanzie su cui poter contare, ad intraprendere un percorso di autonomia, che necessita in primis di un luogo in cui poter stabilire la propria dimora. Una problematica che presenta caratteristiche simili per gran parte delle fasce più giovani della popolazione, siano essi studenti fuori sede, giovani coppie, lavoratori precari o occupati con contratti stabili, che faticano però a trovare un alloggio dignitoso che non eroda significativamente il proprio reddito. Con l’aggravante, nel caso di persone straniere, di un razzismo ancora fortemente e tristemente radicato in Italia, come purtroppo constatato nelle testimonianze raccolte nel rapporto.
“Le faremo sapere”, è l’esito ormai quasi scontato con cui si chiude qualsiasi tentativo di interlocuzione per un affitto sul mercato privato: la disponibilità di case si vanifica nel momento in cui l’identikit del potenziale locatario svela l’origine straniera. “Eppure io lavoro, pago le tasse, sto dando il mio contributo al Paese ma non riesco a trovare un luogo dove vivere. Lavoro, ma che senso ha se non ho un posto dove dormire?” è la disarmante domanda emersa in una delle tante interviste realizzate nel rapporto.
Ed è così che questi ragazzi restano abbandonati a sé stessi, minando quel percorso di integrazione su cui si è investito durante la loro permanenza nelle strutture di accoglienza.
Ma la casa non può essere un privilegio. Per loro e per tutte le persone che oggi in Italia non riescono ad accedere a un’abitazione, serve un rilancio delle politiche pubbliche a tutela del diritto alla casa, perché la casa è un bene primario e molto di più. “La felicità non è un posto in cui arrivare, ma una casa in cui tornare”, recita un proverbio arabo.
La necessità di rilanciare le politiche pubbliche sull’abitare
In sintonia con le analisi e le raccomandazioni politiche del Social Forum dell’Abitare, chiediamo quindi alle forze politiche e al Governo – del cui Piano Casa più volte sbandierato non si sa ancora quale sia lo stato di avanzamento né tanto meno i contenuti – un rilancio delle politiche abitative. Senza pretesa di esaustività alcuni punti chiave sono:
– l’incremento di investimenti pluriennali a sostegno dell’edilizia residenziale pubblica, per porre fine alle politiche di dismissione degli immobili pubblici e sostenere il recupero, la riqualificazione e la riconversione del patrimonio pubblico da destinare all’edilizia residenziale pubblica e sociale;
– la promozione delle partnership pubblico-private per interventi di social housing, ma con un più forte potere di indirizzo e controllo da parte del pubblico;
– la promozione delle Agenzie Sociali per la Casa e il rifinanziamento dei fondi di sostegno alla locazione e alla morosità incolpevole, canalizzando le risorse in un sistema che affronti i nodi strutturali dell’emergenza abitativa e non si configuri come un sussidio a copertura delle attuali disfunzioni del mercato delle locazioni;
incentivi per il recupero e la riconversione del patrimonio privato inutilizzato o sottoutilizzato, anche recuperando spazi per l’abitare in zone interne o periferiche, purché condizionati da una concomitante riqualificazione dei servizi connessi;
– la regolamentazione degli affitti brevi, affinché non impattino sulla riduzione dell’offerta di locazioni a lungo termine;
– il rafforzamento delle politiche di integrazione che permettano alle comunità locali di aprirsi alla popolazione straniera presente sui propri territori, facilitando la conoscenza reciproca e rafforzando la fiducia e il grado di coesione sociale, prerequisiti fondamentali per una maggiore integrazione anche abitativa delle persone migranti.
Si tratta di misure non più rinviabili, quanto di una risposta strutturale ad un problema che sta condizionando il quotidiano di sempre più persone, per un abitare che dia dignità alla vita di ciascuno.
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