La vita strappata di Guido Tieghi: così Massimo Novelli riporta alla luce una storia dimenticata

  • Postato il 20 ottobre 2025
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Una tragedia moderna. In due atti. Con il protagonista che muore due volte. Si chiamava Guido Tieghi e, per troppo tempo, la sua storia è stata avvolta dalla nebbia di Vercelli, la sua città.

Adesso, di lui sappiamo grazie al libro dello scrittore e giornalista Massimo Novelli. Titolo (quanto mai azzeccato) del libro: La vita strappata di Guido Tieghi. Una storia della Resistenza (Graphot Edizioni).

Tieghi fu un calciatore, un centravanti che dire di belle speranze è poco. Dissero che era l’erede di Gabetto. E di Piola. E che avrebbe vestito la maglia della nazionale ai Mondiali del 1950. Fu anche un partigiano. Ma nel mezzo del cammin della sua esistenza lo stroncarono in due. “La vita strappata” appunto.

Novelli si è mosso in tre direzioni. Prima ha consultato i giornali dell’epoca (dalla Gazzetta del Popolo alle testate sportive, o politiche, come l’Unità, a quelle vercellesi). Poi ha cercato testimoni vercellesi (qualcuno che ha conservato un flebile ricordo c’è). Infine ha chiuso il libro con… un colpo di scena, di cui diremo.

Prima che gli spezzassero l’esistenza la sua vita fu questa. Nasce a Milano nel 1925, ma i genitori si trasferiscono a Vercelli quando lui è un bambino. Vogliono farlo studiare, lui però ha il calcio nella testa. E comincia a distinguersi nella Pro Vercelli. “Aveva soltanto diciassette anni – racconta Novelli – ma era già diventato un piccolo eroe, un beniamino della tifoseria e del giornalismo vercellese, destinato a una carriera luminosa”. Un centravanti di sfondamento, potente, alto ma veloce.

Poi a vent’anni, dopo la guerra, gioca, segna e si fa notare in prima squadra, in serie B. Era un altro calcio, certo. Le trasferte si facevano in bicicletta, con pane e salame per rifocillarsi. E i premio partita? Scrive Novelli: “Sembra che il presidente Bozino regalasse a Rampini un pacchetto di sigarette per ogni rete segnata”. Su Tieghi scrive: “Il bilancio della sua stagione calcistica era eccellente: quindici reti fatte nelle ventun gare disputate nel campionato del 1945-46, che si sommavano ai dodici gol realizzati in serie C nel 1942-43. Si sentiva pronto per il salto di categoria, maturo per la serie A”.

E la serie A arriva. È il grande Torino che, dopo un’asta, si assicura Tieghi, per un milione e mezzo netto di lire. Vincerà la scudetto, ma farà la riserva (tre partite, due gol realizzati), del resto era ancora giovane e poi davanti a lui aveva il grande Gabetto.

Prima della stagione granata c’erano state parentesi importanti nella vita di Tieghi. Il matrimonio con Gisella Musso, la lotta di liberazione. Tieghi, come altri calciatori della Pro Vercelli, combatte nel battaglione Vercelli, poi 182esima brigata Garibaldi. “Le imprese di Guido e dei suoi compagni, nei primi mesi del 1945, vennero elogiate dal Comitato di Liberazione Nazionale-Corpo Volontari della Libertà nel “Bollettino delle azioni partigiane” del 31 marzo”.

Torniamo al calcio. Tieghi non ha spazio nel grande Torino. Il Livorno non bada a spese per assicurarsi le sue prestazioni e i suoi gol: 14 milioni. E lui non delude i tifosi toscani: 32 partite e 14 reti. L’anno successivo passa al Novara, così potrà stare vicino alla moglie, che ha problemi respiratori.

Ma ecco che il 21 dicembre del 1948 a Tieghi spezzano la vita. Scrive Novelli: “Era dal barbiere e non riusciva a levarsi dalla mente la sera del giorno prima, lunedì, quando Gisella era ritornata a casa. Non stava ancora bene, la malattia polmonare non era stata sconfitta, l’avrebbero sicuramente ricoverata di nuovo. Appena fuori dal parrucchiere di Corso Libertà, rievocherà nel suo memoriale scritto per L’Unità nell’aprile del 1950, tre agenti in borghese mi invitarono a seguirli in questura per una semplice… informazione. Ricordo che era martedì e nel pomeriggio avrei dovuto recarmi a Novara per l’allenamento, in vista dell’incontro con la Lucchese. Invece un’ora dopo mi trovato nella cella n. 6 delle carceri Beato Amedeo“.

Tieghi, che rimarrà in carcere per oltre 15 mesi (prima a Vercelli poi nel carcere di Marassi, a Genova), era accusato di aver preso parte in una notte del maggio del 1945, insieme ad altri partigiani della Brigata Garibaldi, alla barbara uccisione al rione (o Borgo) Isola di Vercelli di quattro persone: due ragazze, il loro zio, un’anziana paralitica. Quel fatto di sangue ancora oggi è ricordato a Vercelli. Ma l’accusa contro Tieghi era falsa. Un delatore si era inventato tutto.

Ma la sua parabola ascendente è finita. Inizia l’inferno. Uscirà dal carcere, perché innocente, ma la sua vita oramai è spezzata. Non è più il calciatore di un tempo, Gisella lo lascerà portandosi dietro il figlio (nato nel 1953, è stato rintracciato a Savona, dove vive, da Novelli. È il colpo di scena – o meglio, sono pagine toccanti – di cui ho accennato sopra).

Fu sfortunato, Guido Tieghi, che solo e dimenticato morirà di leucemia all’ospedale di Vercelli nel 1973. In realtà era già morto una volta, quel maledetto 21 dicembre 1948. Senza dimenticare che fu vittima delle persecuzioni contro i partigiani a partire dal 1948.

Il calciatore-partigiano Guido Tieghi merita di essere ricordato: e la scrittura ferma ed elegante di Novelli – in una sorta di saggio romanzato – gli rende giustizia.

Massimo Novelli (Torino, 1955) ha lavorato a «L’Ora», «Il mondo», «la Repubblica». Scrive per «il Fatto Quotidiano». Tra i suoi libri ricordiamo: La cambiale dei Mille, Vita breve e rivoluzioni perdute di Napoleone-Luigi Bonaparte, Il caso Lea Schiavi, La comunista che amava il tango.

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Il Fatto Quotidiano

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