L’erba e le sue buone ragioni: un saggio spiega perché vietare la cannabis danneggia salute, ambiente ed economia

  • Postato il 10 giugno 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 2 Visualizzazioni

Un dibattito pubblico che non guarda alla ricerca. E che resta “impermeabile a ogni esperienza socio-economica tanto quanto all’evidenza scientifica, rimanendo ancorato al miope pregiudizio per cui regolamentare gli usi della canapa è solo ‘libertà di spinello’, mentre la cannabis è vista come ‘droga di passaggio’”. Con tutte le conseguenze critiche sull’economia, sull’ambiente, sui malati, mentre ringrazia il narcotraffico che ne trae vantaggio. Mentre le carceri, anche a causa del decreto Caivano, ora sono ancora più affollate di giovanissimi spacciatori fragili e a rischio.

È questa, in sintesi, l’accusa mossa da un libro approfondito sulle scelte politiche rispetto alla cannabis scritto dalla giornalista Nadia Ferrigo, L’erba e le sue buone ragioni. Perché liberalizzare la cannabis conviene alla società (Einaudi).


La canapa è una delle piante più antiche dell’umanità e usata dall’uomo da diecimila anni. Paradossalmente, fino a cento anni fa si poteva acquistare in una farmacia insieme a morfina e cocaina. È una pianta di cui esistono diverse specie e che ha diversi usi, industriale, medico e ricreativo. “Di canapa erano le vele e le funi delle caravelle che raggiunsero le Americhe, così come la Bibbia di Gutemberg del 1453”, spiega l’autrice.

Due i principi attivi complementari e presenti in misura variabile nella pianta: il thc, delta-9-tetraidro-cannabinolo, e il cbd, o cannabidiolo, che ha una composizione molecolare simile al thc ma senza le proprietà psicoattive.

Ma se la canapa è sempre stata accettata, come mai a un certo punto si è sentito il bisogno di proibirla? “Le dinamiche nella cultura dell’Ottocento che portarono al divieto assoluto delle droghe furono le ansie razziali rispetto alla prospettiva di una società multiculturali e la convinzione della scienza medica per cui la tossicodipendenza fosse una malattia”, spiega Ferrigo.

Per l’Italia il percorso verso l’eliminazione della cannabis inizia nel 1961, con la Convenzione unica sugli stupefacenti approvata dalle Nazioni Unite, cui segue la Legge Cossiga del 1975 e quella Iervolino Vassalli del 1990. Una battuta di arresto del proibizionismo si ha con il referendum voluto dai radicali nel 1993, con il quale si abroga la detenzione per uso personale. Ma nel 2006 la Legge Fini-Giovanardi elimina la distinzione tra droghe leggere e pesanti (poi dichiarata incostituzionale).

Nel 2012 il governo Monti prova a ragionare su una legalizzazione finalizzata a entrate che avrebbero ridotto il debito pubblico, senza risultati. Nel 2021 un referendum organizzato da una rete di associazioni e partiti, tra cui “Meglio Legale”, porta alla Cassazione ben 630.000 firme dei cittadini per chiedere un referendum sulla cannabis, dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzonale. Si arriva così agli ultimi anni, con il ministro Salvini schierato sulla guerra ai negozi di cannabis light, nel frattempo aperti in tutta Italia, e con l’operazione “scuole sicure” e i cani antidroga negli istituti (“Solo tra il 2018 e 19 sono stati impiegati 26.000 agenti per sequestrare 14 chili di sostanze, un costo di due milioni e mezzo, praticamente 500 euro a grammo”, nota Ferrigo).

Il ddl Sicurezza, da poco approvato, contiene un “divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, anche in forma essicata e compresi estratti, resina e oli” (quindi di tutte le tipologie, anche quelle senza principio attivo thc, come la cannabis detta “light”). E questo nonostante la Corte di giustizia europea abbia stabilito che gli stati membri non possono imporre limitazioni alla coltivazione della canapa industriale. “Nel ddl Salvini”, spiega Ferrigo, “c’era persino una norma per punire con multa e carcere i disegnatori e illustratori pubblicitari, poi tolta”.

Oggi siamo al paradosso per cui dopo i sequestri le forze dell’ordine devono distruggere le piante per capire se contengono o no il thc, lo spaccio è punito da due a sei anni per le droghe leggere (e c’è l’arresto in flagranza di reato); il consumo personale non è reato ma è un illecito, che può portare alla sospensione di un documento. “Restiamo l’ultima roccaforte di un proibizionismo antico che nemmeno fa sforzo di dare una veste rinnovata ai suoi argomenti”, commenta la giornalista, “nonostante l’Onu nel 2020 abbia rimosso la cannabis dalle sostanze particolarmente dannose, definendola sostanza con valore terapeutico e basso rischio di abuso”.

Il decreto sicurezza rischia di distruggere un mercato che era un’eccellenza del Made in Italy, “perché con questa incertezza normativa nessuno investirà”. Ma rischia anche di privare i malati di sclerosi, tumori, epilessie e altre patologie al diritto alla cura perché, se è vero che i medici possono prescrivere preparazioni fatte dal farmacista con una sostanza vegetale a base di cannabis derivata dalle altrimenti vietatissime infiorescenze, l’“erba di Stato” non è mai bastata per tutti, la produzione è insufficiente.

C’è poi un problema ulteriore e gravissimo che le normative stanno causando, visto che il 35 per cento dei detenuti è in carcere per droga, il doppio della media europea, soprattutto “spacciatori di strada, recidivi, persone in difficoltà senza un avvocato”. Senza questi detenuti, uno su quattro, si potrebbe risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Ed evitare casi tragici di ragazzini stigmatizzati per l’uso davanti ai compagni, finiti sui giornali e segnati per sempre (l’autrice cita anche il caso del giovane suicida di Lavagno).

E dire che altre soluzioni ce ne sarebbero, e il libro le racconta bene. Se in Spagna ha vinto una impostazione tollerante e liberale e nei Paesi Bassi l’uso e il possesso fino a cinque grammi, acquistabili in un coffee shop, non sono perseguibili, in Portogallo si è deciso di depenalizzare ma puntando alla rieducazione e al censimento. In Germania c’è invece un modello originale e diverso: si possono coltivare in casa fino a tre piante e far parte di un cannabis club, dove non si può consumare, dalle regole chiare: massimo 50 grammi al mese, eccedenza distrutta, membri maggiorenni e residenti da sei mesi in Germania. Anche negli Stati Uniti, dove per decenni ha infuriato un dibattito pubblico proibizionista, oggi la “cannabis si vaporizza, si mangia, si svapa”, l’accettazione è trasversale e nel 2022 per la prima volta il consumo di marijuana ha superato quello del tabacco.

Resta dunque il paradosso di un proibizionismo made in Italy che non solo non ha mai raggiunto il suo obiettivo, visto che l’erba resta la droga più diffusa in Italia. Ma che fa sì che i proventi vadano tutti in mano allo spaccio illegale. Con buona pace della scienza e dell’ambiente – “ricordiamo che la cannabis è una pianta che ripulisce il terreno, c’era un progetto ora fermo di bonifica dei territori intorno all’Ilva grazie alla canapa” – e nell’indifferenza della politica, anche di sinistra “che non ne ha mai voluto fare una bandiera”, commenta l’autrice. Si spera, come sempre, nei tribunali, con tutto il tempo, la fatica e i soldi che le cause richiedono. E senza che davvero ci sia un senso a questo accanimento dannoso e per nulla terapeutico.

L'articolo L’erba e le sue buone ragioni: un saggio spiega perché vietare la cannabis danneggia salute, ambiente ed economia proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti