Lo strano caso del film ‘Il Maestro e Margherita’ sfuggito alla censura putiniana e campione d’incassi

  • Postato il 15 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Che curiosa vicenda quella della genesi del film Il Maestro e Margherita, ennesima trasposizione cinematografica del romanzo di Michail Bulgakov (nelle sale italiane dal 19 giugno)! Il regista, Michael Lockshin, 44 anni, cresciuto fra Russia e Stati Uniti, è il figlio di Arnold Lockshin, nato nel 1939 a San Francisco da una famiglia ebrea sovietica perseguitata dai nazisti. Noto biologo e oncologo, studiò negli Usa e divenne ricercatore al St. Joseph Hospital di Houston dopo essere stato alla Southern California School Medical (77-80).

Nei primi anni di carriera Lockshin svolse ricerche presso la Facoltà di Medicina dell’USC tra il 1977 e il 1980 quando venne cooptato dalla Stehlin Foundation di Houston, Texas. Sei anni dopo, d’emblée, venne licenziato dai dirigenti della Fondazione, con grande rilievo sulla stampa, sia in Usa che in Urss, tanto che, con con moglie e figlioli piccoli, fra cui Michael, il futuro regista, chiese e ottenne asilo politico e poi la cittadinanza (concessagli da Eltsin) nell’Unione Sovietica. Causa ufficiale del licenziamento? “Peggioramento delle sue prestazioni lavorative”, secondo la Stehlin Foundation.

Arnold Lockshin, però, dichiarò, in quell’occasione, che la sua cacciata avvenne “per le sue convinzioni politiche e di quelle della moglie e della sua opposizione alla politica estera dell’amministrazione Reagan”. A suo dire, fu l’FBI a organizzare l’epurazione, tanto più che, raccontò, che “lui e la sua famiglia erano stati oggetto di minacce di morte e altre forme di molestie” perché “sostenevano da tempo il socialismo e che in precedenza era stato un organizzatore del Partito Comunista negli Usa”. L’Urss gli concesse anche un impiego e un appartamento. Lui e la moglie pubblicarono poi un libro sulla personale vicenda di esuli: Terrore silenzioso (1986).

Ma perché racconto questo? Perché Il Maestro e Margherita, film assai affascinante, diretto dal figlio – come scrivono molti media, anche italiani – ‘è sfuggito’ alla censura putiniana. Una ‘cantonata’ (per chi ci crede…) dopo che il governo russo lo aveva finanziato con ben 17 milioni di dollari, approvati dal Fondo Kino, convinto assertore della necessità della funzione patriottica del cinema: un vero successo al botteghino in Russia, dove è uscito l’anno scorso.

“Per ironia della sort – scriveva Andrew Roth su The Guardian del 23 febbraio 2024 – il botteghino russo in tempo di guerra è dominato da un adattamento di successo de Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, un film che denuncia la censura ed è stato girato da un regista americano ‘apertamente contrario alla guerra’”. “Il miglior film commerciale mai girato nella Russia di Putin”, secondo un critico cinematografico dello spessore di Anton Dolin. Tanto che il regista ha definito “un miracolo” l’uscita del suo film in Russia.

I tempi della gioia assoluta, però, sono durati poco (anche se i robusti incassi restano): presto, infatti, i canali Telegram filo-russi hanno cominciato ad accanirsi contro il regista definendolo persino “un terrorista”. E, leggo sulle agenzie, che Margarita Simonyan, a capo dell’emittente statale RT, e altri mezzibusti di Stato, gli hanno sparato (metaforicamente…) contro. Avrebbe ricevuto persino minacce di morte. Insomma, più martoriato dello stesso Bulgakov ai tempi di ’Baffone’ (anche se Stalin assistette a ben 15 rappresentazioni del suo I giorni dei Turbin, salvo poi ignorare le richieste di espatrio avanzate dallo scrittore, “Che davvero sia il caso di mandarla all’estero? Le siamo venuti tanto a noia?”, gli disse al telefono). Qui, però, si tratta di una diffamazione ‘a posteriori’ del film.

È mai possibile credere che l’apparato di controllo russo non si sia accorto, avendolo persino finanziato con denaro sonante, che il film fosse “antipatriottico” o peggio “spazzatura antipatriottica” prodotta da un “americano russofobo” come l’ha definito Vladimir Solov’ëv, il conduttore tv amico di Putin che abbiamo visto spesso presentarsi al pubblico con falce e martello stampigliati sulla giacca? Con tutta la buona volontà, è difficile.

E figuriamoci se qualcuno non tirava in ballo Kiev come ha fatto Yegor Kholmogorov, dell’emittente Russia Today che ha bollato il film come “una dimostrazione di propaganda terroristica e satanica concepita da un tifoso dell’Ucraina” alla quale la cosa fa sempre gioco. Sarà forse che è problematico rinunciare a un film, stravisto dal pubblico russo e che ha incassato nel Paese oltre due miliardi di rubli (più o meno 21 milioni di euro) e che continua ad incassare? O c’è altro sotto, magari da parte di chi ricorda la vicenda del padre del regista?

Solo la Universal non ha voluto infilarsi nel business, causa un attacco etico di politicamente corretto pro-Ucraina, rimettendoci un bel po’ di introiti. Fatto sta che, almeno fino ad oggi, la ministra russa della Cultura, Olga Ljubimova, non ha ritirato il film dalle sale. Vien da pensare, trattandosi di Bulgakov, che qualcosa di magico abbia pervaso l’intera vicenda. Che ci sia ancora lo zampino del diabolico gatto nero gigante Behemoth, amico di Satana, o della strega Margherita che fantasmaticamente sorvola Mosca punendo chi condannò il Maestro? Ma questa è solo letteratura.

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Il Fatto Quotidiano

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