Oggi la Liberazione si chiama disarmo: la lotta alla guerra è l’antifascismo del presente

  • Postato il 28 aprile 2025
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Anche quest’anno ho passato il 25 aprile presso Casa Cervi di Gattatico, un luogo che custodisce la memoria dell’eccidio dei fratelli Cervi e promuove i valori della Resistenza, punto di riferimento di migliaia di antifascisti che per la Festa della Liberazione lo raggiungono da molte parti del Paese. Quest’anno si calcola che oltre 20.000 persone abbiano calpestato il pratone intorno alla casa della famiglia Cervi, per festeggiare insieme, in un luogo simbolo della memoria resistente, questo ottantesimo anniversario dalla fine del regime fascista e della guerra mondiale, anche come atto di disubbidienza civile alla “sobrietà” dei festeggiamenti voluta dal governo.

Con la Rete Europe for Peace di Reggio Emilia eravamo presenti a questo rito collettivo per ricordare, ancora una volta, che oggi la Liberazione si chiama disarmo e la Resistenza si chiama nonviolenza: la lotta alla guerra e al riarmo è l’antifascismo del tempo presente.

Eppure, ottanta anni dopo la fine della seconda guerra mondiale – che con il crimine di Hiroshima e Nagasaki ha lasciato l’umanità sotto la spada di Damocle della guerra nucleare – guerra e riarmo sono tornate ad essere promosse, preparate e finanziate anche da governi e forze politiche che si dicono antifasciste. Dunque oggi, seppur necessaria, non è più sufficiente la sola dimensione storica dell’antifascismo ma – al di là della richiesta di impossibile professione di antifascismo ai cialtroni al governo in Italia – serve un antifascismo che riesca a vedere e contrastare gli elementi profondi di fascismo insiti nel bellicismo dilagante, che è negazione del ripudio costituzionale della guerra.

L’Articolo 11 è l’elemento cardine dell’antifascismo costituzionale che ribalta radicalmente il militarismo, fondamento identitario del fascismo storico. La sua lacerazione continua e progressiva, con la rilegittimazione di guerra e riarmo, ridà centralità politica e culturale alla visone del mondo fondata sulla dicotomia amico/nemico, anziché alla costruzione con mezzi di pace di un sistema internazionale pacifico e multipolare, immaginato da padri e madri costituenti e dalla Carta della Nazioni Unite.

In questo senso è un importante contributo il nuovo libro di Lorenzo Guadagnucci, Un’altra memoria (Altreconomia), che – interrogandosi sulla funzione odierna dei luoghi della memoria delle stragi nazifasciste del nostro paese – aiuta ad aprire una riflessione più generale sul rischio di autoreferenzialità delle celebrazioni istituzionali della Liberazione, quando sono incapaci di denunciare con la stessa forza guerre, genocidi e crimini contro l’umanità del nostro presente, che dispiegano e rinnovano davanti ai nostri occhi quegli orrori, condannati per il passato e contro i quali aveva lottato la Resistenza. “Impossibile commuoversi e indignarsi per i nostri morti di ottant’anni prima – scrive Guadagnucci, che ha anche un legame familiare con la strage di Sant’Anna di Stazzema – mentre collettivamente ignoriamo, fingiamo di non vedere, i morti causati dalle nostre armi, da un esercito amico, sostenuto dalle nostre istituzioni, appena al di là del nostro mare”, in Palestina, o siamo incapaci di mettere fine alla guerra in Ucraina, dove i governi europei continuano ad inviare armi, anziché mediatori. E’ “il cortocircuito della memoria”.

Non è casuale, per esempio, la continua sovrapposizione nel discorso pubblico tra necessità di difesa e obbligo di riarmo – denunciata anche da papa Francesco nel suo ultimo messaggio: “L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo” – spesso infarcita, per legittimarla, della retorica della resistenza antifascista. Ma proprio la Resistenza ha fornito anche straordinari esempi di lotta non armata contro il nazifascismo: dalle lotte nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole all’aiuto ai soldati in fuga, agli ex prigionieri alleati, agli ebrei; dalla resistenza degli “internati militari” nei lager nazisti alle molte azioni di resistenza civile delle donne – troppo spesso rimosse dalla memorialistica ufficiale – alla produzione e diffusione della stampa clandestina. Inoltre ci fu un massiccio rifiuto, un’obiezione di coscienza ante litteram, dei giovanissimi delle classi del 1924-25 cresciuti nell’educazione militarista del regime fascista, ad aderire alla chiamata alle armi di Salò.

Nonostante rastrellamenti e ritorsioni anche nei confronti dei familiari, “nella storia dell’Italia unita – scrive Ercole Ongaro in Resistenza nonviolenta 1943-45 (I libri di Emil) – non era mai stata scritta una pagina di così intensa mobilitazione popolare e di diffusa disobbedienza civile per dire no al servizio della patria in un esercito che combatteva a fianco dell’occupante nazista”. E’ questa “la memoria fertile della Resistenza, quella che può ispirare ancora l’agire nel presente”. Per questo a Casa Cervi, anche quest’anno come nei due precedenti, abbiamo raccolto le sottoscrizioni dei presenti alla campagna di Obiezione alla guerra del Movimento Nonviolento che sostiene gli obiettori di coscienza e i disertori di tutti gli eserciti delle guerre e del genocidio in corso, dall’Ucraina alla Palestina, e insieme dichiara l’obiezione personale alla guerra. Una scelta verso la costruzione di una difesa civile, non armata e nonviolenta, oggi intrinsecamente antifascista.

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Il Fatto Quotidiano

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