Più che rivoluzione, postdemocrazia: a Genova Salis sceglie un vice-sindaco bipartisan
- Postato il 6 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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In questi anni – mentre risultava inesorabile l’usura della diade Stato-Mercato e la politica ridotta a un guscio vuoto – ci consolavamo coltivando l’idea della rifondazione democratica partendo dalla dimensione civica; più maneggevole e con meno vincoli.
Ancora una volta Genova fa da battistrada in uno scarto significativo di tendenza. Ma la direzione è esattamente opposta a quella attesa: l’elezione della sindaca Silvia Salis, importata dall’esterno come un Podestà medievale per superare lo stallo creato dalla disunione del sedicente centro sinistra e scalzare la decennale occupazione degli organigrammi locali del potere da parte di una destra affaristica e bulimica di cemento incarnata dal duo Toti e Bucci.
Mentre i corifei sproloquiavano di rivoluzioni generazionali e si profondevano in omaggi vassallatici gli imbarcati sul carro di un’operazione dalla palese valenza mediatica allestita dalla Ditta in carriera (Salis e consorte, il regista all’orecchio renziano Fausto Brizzi), una prima analisi del pregresso biografico della regina “piovuta ai ranocchi” imponeva lo sgombero di qualsivoglia illusione. Presto confermato dalle dichiarazioni estemporanee della neo-eletta Prima Cittadina di una città ferita dal declino e devastata dagli scandali; in stile salottiero-benpensante-naif alla Maria Antonietta: dalla riedizione del culto reaganiano degli abbienti “perché così qualcosa sgocciola pure sugli altri” (il malfamato trickle down) all’irrisione dell’ambientalismo (con tanti saluti ad AVS: Fratoianni c’eri o dormivi?).
Anche perché si scopriva che la fanciulla coltiva anche il remake nuclearista: se nel frattempo non si fosse suicidato Beppe Grillo l’avrebbe potuta eleggere “grillina ad honorem”, come un Roberto Cingolani. Tutto sacrificato sull’altare della vittoria purchessia. Una topica pure di Giuseppe Conte, che nelle precedenti elezioni regionali liguri aveva bloccato la messa in lista di canditati renziani e ora avallava la candidatura a sindaco di chi si identifica nell’area collusiva da Renzi a Berlusconi.
Ma se questi aspetti possono apparire processi alle intenzioni, ben più rivelatrici e incontrovertibili sono le scelte concrete e gli effetti conseguenti. A partire dall’aggregazione che ha portato al successo elettorale. Quel campo larghissimo, accozzaglia di sovrapposte velleità di spazio politico, che sta risultando un ginepraio di scambi trasversali in cui si smarrisce perfino l’idea di confine tra componenti politiche, per la semplice ragione che ormai risulta compiuta la piena omologazione del personale politico.
Sicché l’annunciata rivoluzione è solo la traduzione in sede periferica di quella “postdemocrazia” prefigurata dal politologo Colin Crouch vent’anni fa: sfide elettorali tra candidati speculari e intercambiabili. Effetto della convinzione che nel post-industriale la società diventa “liquida”; quindi alla sinistra conviene rivolgersi alle fasce mediane in concorrenza con la destra. Il messale Neo-Lib meno tasse più privato. L’unica differenza è che, in una sede con meno vincoli e contrappesi, la postdemocrazia a scartamento civico si conforma sbarazzina tendente alla sfacciataggine: già nella scelta accreditata dalla stampa locale del vice-sindaco, fatta da Salis per tacitare le divergenze nel cespuglio più grosso (il Pd), nella persona di Alessandro Terrile.
Chi era costui? Nientepopodimeno che la figura iconica dello scambio permanente di matrice boaria tra le varie tribù della politica locale: il segretario provinciale Pd ingaggiato e foraggiato come ad di Ente Bacini, la società governata dal presidente di Autorità Portuale Signorini, pilastro della costruzione smantellata dalla magistratura del Totigate. Già sbertucciato da Report nella puntata sugli scandali genovesi, al sorridente bipartisan non gliene cale; pronto a ritornare in pista da vero “Ercolino sempre in piedi”. Perfettamente a suo agio in questo andirivieni, per cui Toti ingegnerizzava la politica di Burlando e la Salis promette di proseguire le megalomanie infrastrutturali di Bucci, ma con più glamour.
Cosa ci sia di “postista” in questo arcaico mercato delle vacche non è dato sapere.
Semmai siamo al caso di una città italiana che lancia nell’empireo una figura che potrebbe affiancare i gestori di un quadro politico bloccato nella narrazione che questo è il meglio. E la Salis tale ambizione la dichiara e ribadisce. All’insegna del non ci sono alternative (come una Thatcher de noialtri). Eppure l’alternativa ci sarebbe, come prospettava il politologo bolognese Pier Giorgio Ardeni nel suo saggio dell’altr’anno sulle classi sociali (a mezzo secolo da Paolo Sylos Labini). Basterebbe che le forze politiche ritrovassero una base di classe riconquistando i tanti che si sono sentiti abbandonati. La marea dei precari, degli esclusi, dei marginalizzati. Ma chi gliela fa fare a questi abbarbicati alle poltrone in quel di Roma; e ora nella ridotta genovese?
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