Ponza e l’arte. Riscoprire l’isola tra luci e profumi di settembre

Chi viene a Ponza attratto dal suo mare, finisce per innamorarsi anche della luce, che rende unica l’isola. Una luce tagliente, che disegna i profili delle case, scava nelle pareti di pietra, vibra sui tetti delle abitazioni del porto. A distinguerla è una combinazione di elementi particolare: non solo il mare limpido, che riflette e moltiplica il bagliore del sole con sfumature di blu cobalto e turchese, ma soprattutto le rocce stratificate, i tufi gialli, le lave rosse, le formazioni calcaree con venature verdi di minerali, accanto alle falesie di caolino che virano dal grigio al bianco latte, cambiando colore con il passare delle ore. E non ultimo un cielo notturno con un basso inquinamento luminoso che permette di osservare la Via Lattea a occhio nudo.

A settembre, poi, il paesaggio, provato dal caldo, comincia a rinverdire con le prime piogge, regalando contrasti fra il dorato della vecchia vegetazione e i nuovi germogli. L’isola profuma adesso di fichi maturi, di erbe aromatiche, di vigneti che offrono i primi grappoli e dei fiori bianchi del giglio di Santa Candida, simbolo della flora costiera locale, insieme a cespugli di euforbia e macchie di malva. Non è un caso che la tradizione riconosca qui la dimora di Circe, la maga capace di incantare Ulisse: un mito che sembra ancora affiorare tra scogliere e promontori. E non è un caso neppure che l’isola attragga gli artisti, non come cornice, ma come materia viva da esplorare. Ma Ponza, “scontrosa e bellissima”, come la definì Montale in una poesia, non è un luogo sofisticato e con la vocazione di capitale dell’arte. Qui non ci sono fiere né passerelle, ma piuttosto terreno fertile per pratiche artistiche dal carattere autentico che danno voce a una ricerca sincera.

La casa sullo scoglio della Ravia

Già nel 1961 gli artisti tedeschi Ursula Querner e Claus Wallner avevano scelto Ponza come rifugio. Acquistarono insieme un rudere sullo scoglio Ravia, un isolotto situato proprio di fronte al porto, e lo trasformarono in casa e atelier, costruendo con le proprie mani uno spazio dove vivere e lavorare in completa libertà. In quel luogo trovarono una fonte inesauribile di ispirazione. Ursula realizzò disegni e bozzetti ispirati ai paesaggi locali e sperimentò tecniche e materiali nuovi per le sue sculture, integrando nelle opere il movimento delle onde, il mondo subacqueo e la geometria delle rocce; Claus sviluppò, per le sue vetrate artistiche, cicli pittorici che riflettevano la luce e i colori del Mediterraneo. La casa, vissuta insieme alle loro figlie e spesso animata dalla presenza di altri artisti, divenne un vero e proprio laboratorio aperto sul mare. Ancora oggi, sebbene non sia visitabile, l’abitazione testimonia quella stagione creativa condivisa che segnò profondamente la produzione di entrambi, permettendo loro di contribuire al fermento artistico che attraversava l’Europa del secondo dopoguerra.

Matteo Ponzi e il racconto delle notti di luna

Quella traccia di libertà e sperimentazione non si è spenta: decenni dopo, nel 2015, l’artista romano  classe 1982 Matteo Ponzi ha aperto sull’isola la sua galleria, dove espone creazioni fortemente materiche ispirate al cielo notturno. Sono opere nate da fusioni di metalli come alluminio, silicio, argento e oro, che si trasformano in rilievi capaci di evocare la superficie lunare, la fragilità e la memoria. Tra le sue opere più distintive ci sono le Lune datate, sculture ottenute per fusione e intitolate con la data precisa di una notte lunare reale, scelta per la sua forza simbolica o emotiva. Titoli come Notte del 15 Dicembre non sono infatti solo evocazioni poetiche, ma veri frammenti di calendario celeste: una sorta di diario in cui l’arte conserva l’impronta di una notte specifica, legata a un sentire, a una condizione del cielo, forse anche dell’anima. Ogni pezzo è unico o fa parte di tirature molto limitate, ma tutti contengono questa tensione tra cielo e materia, tra l’eterno e il quotidiano.

Ponzi utilizza alluminio prodotto con ridotte emissioni di carbonio e, per la serie Coral, ha collaborato con FeUse, che recupera i residui metallici degli altiforni. Questi scarti, solidificandosi in forme simili a coralli, vengono dipinti con vernici ecologiche e trasformati in opere d’arte: un modo per sensibilizzare sul problema della scomparsa dei coralli naturali a causa dei cambiamenti climatici. Così la sua ricerca unisce creatività e responsabilità ambientale, trasformando materiali grezzi in opere che custodiscono la memoria del tempo e l’impronta di chi le ha plasmate.

Artisti a raccolta per Ponza Land Art

Lungo i sentieri dell’isola, il dialogo tra natura e creazione prende forma nel progetto Ponza LandArt, che invita a leggere il paesaggio come un’opera in continua trasformazione. Nato nel 2023 da un’idea della scultrice ravennate Laura Pagliai, il progetto è tornato nel 2025 coinvolgendo artisti internazionali chiamati a realizzare opere site-specific permanenti sul tema Nessun uomo è un’isola. Le installazioni, integrate con rocce e vedute marine, non si impongono come estranee ma emergono come presenze inattese che mutano la percezione del percorso e lo trasformano in un’esperienza di scoperta e stupore. Accanto a questo atelier diffuso, l’arte a Ponza prende anche altre forme: mostre temporanee, installazioni effimere in cortili, terrazze e vecchie cantine, occasioni che mantengono un carattere intimo e non convenzionale.

La pratica dello stracquo e il Museo etnografico

A completare questo quadro di interazioni tra arte e natura, c’è poi l’affascinante pratica dello stracquo, ossia la raccolta e il riuso dei materiali restituiti dal mare: legni, corde, reti, latta e ferro, bottiglie intere o pezzi di vetro smussati e levigati. Quello che un tempo era un gesto di sopravvivenza e ingegno quotidiano, oggi diventa linguaggio artistico. Gli oggetti recuperati dopo le mareggiate si trasformano in assemblaggi artistici, piccole sculture anonime o opere firmate che rinascono come superstiti dei flutti, portando con sé tracce di storie passate, come se l’arte dovesse farsi carico di ciò che resta, delle scorie e delle ferite.

Questa pratica spontanea trova un’eco concreta nel Museo Etnografico, creato da Gerardo Mazzella, appassionato cultore della storia locale, in una grotta sopra la spiaggia di Cala Frontone. Non si tratta di un museo qualunque ma di un microcosmo di memoria e identità isolana, dove utensili, attrezzi rurali, lettere e oggetti della vita quotidiana raccontano storie di pesca, agricoltura e tradizioni. Il percorso attraversa ricostruzioni di ambienti domestici dell’ultimo Ottocento e del primo Novecento e spazi aperti dove pascolano liberamente le caprette, restituendo uno spaccato vivido della vita di un tempo sull’isola. Così tra scogli, mare e materiali plasmati dall’uomo, ogni elemento trova il proprio posto nel racconto dell’isola.

Nicoletta Rita Speltra

L’articolo "Ponza e l’arte. Riscoprire l’isola tra luci e profumi di settembre" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

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