Remo Salvadori a Milano. Una grande mostra antologica diffusa in città

Remo Salvadori (Cerreto Guidi, 1947) è protagonista in queste settimane di un complesso progetto espositivo che ha come cuore pulsante Palazzo Reale ma che si estende all’adiacente Museo del Novecento e alla limitrofa chiesa di San Gottardo in Corte. A cura di Elena Tettamanti e Antonella Soldaini, la vasta rassegna si è aperta con l’inaugurazione di opere di grande respiro pensate appositamente per questo contesto, mentre il catalogo pubblicato da Silvana Editoriale sarà presentato il 9 settembre. Le opere dell’artista toscano, ma milanese di adozione, hanno trovato anche un complemento musicale con l’intervento del collettivo Tutto Questo Sentire e del compositore Sandro Mussida al pianoforte.

Remo Salvadori a Milano

Al centro della Sala delle Cariatidi era visibile l’opera intitolata No’ si volta chi a stella è fisso (2004/2025), formata da otto parallelepipedi in metallo specchiante a base quadrata posti in cerchio che andavano a formare in negativo al loro interno la sagoma di una stella a otto punte, instaurando con lo spazio un rapporto di rispecchiamenti e irradiazioni, come una segnatura celeste riflessa sulla terra, quasi a voler instaurare con il visitatore un incrocio di sguardi e raggi cosmici. Suggestioni di visioni astronomiche vengono anche da Figura (1997/2025), un’installazione di lastre di piombo traforate e piegate adattate ai contorni della parte superiore del lucernario che si apre sulla Sala del Piccolo Lucernario, dove pure erano esposte altre tre opere: alzando gli occhi alla superficie vetrata si possono scorgere, attraverso le divaricazioni dei fogli di piombo, dei giochi grafici e luminosi che simulano inedite costellazioni.

La mostra al Museo del Novecento

Le innumerevoli bacchette di rame di diversa lunghezza che compongono l’opera intitolata Alveare (1996/2025), poste verticalmente sulla parete all’ingresso del Museo del Novecento in file parallele e secondo un preciso schema geometrico, in modo da formare una trama di rombi reciprocamente intersecantisi, segnano una partitura di riflessi erubescenti che accompagnerà in modo permanente lo snodarsi del percorso dello spettatore sulla rampa elicoidale che congiunge i diversi piani dell’edificio.
L’antologica inaugurata due settimane più tardi al piano nobile di Palazzo Reale comprende una sessantina di lavori. Si tratta però di un’antologica anomala, che non si sviluppa in senso cronologico e si incentra sull’idea che le opere che la compongono rigenerino in qualche modo le loro qualità espressive e instaurino inedite relazioni con lo spazio interno ed esterno, con le sale in cui sono poste e con quanto lasciano vedere le finestre, con lo straordinario sfondo rappresentato dal Duomo: “Esse rivivono nell’attimo”, dice Salvadori, che, accompagnandoci durante la preview, con un’accoratezza dal sapore quasi sciamanico ci parla di illuminazioni interiori, soffi vivificanti, intenti salvifici, compartecipazioni di energie. Condizione preliminare della sua poetica è il dialogo con lo spettatore, il quale troverà lungo il suo cammino “opere che sono sempre in rapporto alle persone, opere dialoganti”.

La mostra a Palazzo Reale a Milano

Al centro della Sala dei Ministri, sul pavimento, si espande, come una sequenza di onde circolari, l’installazione intitolata Continuo Infinito Presente (1985/2007), una serie di cerchi concentrici perfetti composti da canapi d’acciao di differente spessore richiusi su se stessi senza alcun segno di cesura, senza inizio né fine, segnali del tempo circolare e dell’inesauribile divenire. Nella Sala del Trono ritroviamo l’opera già esposta nella Sala delle Cariatidi, la stella formata dal vuoto circoscritto dagli otto parallelepipedi, la quale, in un ambiente più liscio e raccolto, assume un diverso valore di relazione spaziale, definendo una dimensione fisica e mentale più intima e diretta.
In una successiva sala sui quattro lati ci attorniano grandi opere a muro che sviluppano il motivo del Germoglio, che affiora nella mente dell’artista nel corso degli anni Ottanta, riflettendo sui temi del caos e del seme, e diventa una sorta di marchio di fabbrica della sua ricerca. Si tratta di una figura che nasce dall’incontro di cinque cerchi originati da cinque centri, e da ulteriori operazioni che tengono conto delle relazioni fra circonferenze e raggi. Se qui sono presenti quattro grandi varianti, c’è da dire che la versione più monumentale di questa cfra, una struttura d’acciaio alta dieci metri e sormontata da un arco lungo cento, è stata inaugurata lo scorso anno nel cuore delle colline pisane, nel comune di Peccioli: posta sulla sommità dell’edificio che ospita gli impianti di riciclo dei rifiuti della locale discarica è come se cantasse a voce spiegata un inno in onore della materia che deperisce, si trasforma e torna a vivere. Questo ciclo di lavori si fonda su una geometria dal carattere quasi cabalistico, in cui il rigore matematico e il rovello intellettuale si sciolgono in una visione che sfiora il misticismo e si dilatano nel regno delle forme simboliche, trasformando i moduli geometrici in archetipi, e il calcolo in una ricerca dal sapore alchemico. Nella stanza seguente il filo conduttore seguito dall’artista è il tema dell’acqua, intesa come forza vivificante di cui appunto il germoglio si nutre, con lavori che nascono, dice Salvadori, “dall’esperienza quotidiana di dare valore all’acqua”, che vale a trasformare atti banali e inavvertiti in vere e proprie esperienze di ricerca interiore: ecco così le varie versioni della serie Verticale, fra cui il Verticale del 1991/2004, che presenta sopra la consueta lamiera di rame ravvolta a cilindro e trattenuta da un filo metallico (Salvadori esclude la possibilità di usare piedistalli o plinti separati dall’opera) un contenitore di vetro colmo fino all’orlo di un’acqua mulinellante attorno a un piccolo vortice: un’ulteriore allusione alla carica simbolica della dinamica del cerchio.

L'osservatore si sposta osservandosi, 1982, Sala del Piccolo Lucernario, Palazzo Reale. Foto © Agostino Osio
L’osservatore si sposta osservandosi, 1982, Sala del Piccolo Lucernario, Palazzo Reale. Foto © Agostino Osio

Le opere e la pratica di Remo Salvadori

La rassegna continua con Anfora e modello (1982/2025): al centro di altri cerchi di metallo intrecciato si leva la sagoma di due vasi candidi, di forma e dimensioni differenti; uno di essi sormonta l’altro, molto più grande, e sembra essere da questo sostenuto. Un’antica tavoletta posta sull’adiacente parete e raffigurante San Cristoforo, colui che tiene sulle spalle il piccolo Gesù per attraversare un fiume, svela il rapporto tra questi due elementi, alludendo, dice l’artista, a quei gesti che ci consentono di “traghettare tra mondi distinti, tra il quotidiano e l’eterno”. Ecco poila serie L’osservatore non l’oggetto osservato, strutture metalliche dai colori più vari esemplate sulla forma di un cavalletto fotografico, che “approfondiscono il ruolo dello sguardo e dell’osservazione, creando cortocircuiti tra soggetto e oggetto, tra visione e riflessione”. Altre stanze sono dedicate poi a ospitare la serie delle Tazze, in cui la forma della coppa semisferica si incrocia con paralleli riferimenti a fenomeni astronomici, e la serie delle lamiere di piombo incise a formare delle linguette a loro volta ripiegate in modo da creare pattern arabeggianti dalle combinazioni sempre diverse.

La mostra alla Chiesa di San Gottardo

Per concludere, ecco i due lavori installati nella chiesa di San Gottardo in Corte, i quali, resi visibili al pubblico alla fine del percorso di visita dell’adiacente Museo del Duomo qualche giorno dopo l’inaugurazione dell’antologica di Palazzo Reale, se rappresentano l’ultimo capitolo ad essere aperto nel percorso tracciato intorno all’esperienza artistica di Salvadori, costituiscono anche un ritorno a un’origine che pur contiene in sé un nuovo inizio. L’opera intitolata 10 frecce nei colori dei minerali (1969-1970), risalente ai tempi della prima mostra personale dell’artista, collocata di fronte all’affresco di scuola giottesca in fondo alla navata della chiesa, si trova infatti sovrapposta a Stella (2025), pensata proprio per questa occasione: si tratta di due spesse lastre di marmo dalla forma quadrata, collocate una sopra all’altra, come sorprese dentro un processo di rotazione sfasato che le fonde nella figura, appunto, di un’unica stella. Le dieci frecce, ritagliate in metalli diversi e assemblate in un unico mazzo con le punte rivolte lungo direzioni contrapposte, in questa inedita collocazione sembrano così smarrire l’univocità del percorso in linea retta da esse prefigurato: le loro traiettorie si trovano ad essere potenzialmente centrifugate, allo stesso modo di come la freccia del tempo, in tutta la ricerca di Salvadori, ci appare ripiegata su se stessa in un moto circolare, tradotta simbolicamente in quell’Uroboros che si morde la coda e che salda in un unico flusso fine ed inizio.

Alberto Mugnaini

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Autore
Artribune

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