Sciopero in Ecuador contro il programma Fmi accettato da Noboa. Che risponde con la repressione

  • Postato il 14 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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In Ecuador, il settembre 2025 rimarrà segnato da uno sciopero nazionale prolungato e da una risposta governativa che minaccia di aprire una frattura irreversibile nella già fragile istituzionalità del Paese. Il presidente Daniel Noboa, rafforzato dalla sua recente rielezione, ha scelto di accelerare un programma di riforme neoliberiste imposto dalle condizioni del Fondo Monetario Internazionale, che ha concesso un credito da 5 miliardi di dollari. A questo pacchetto economico si accompagna un irrigidimento autoritario che, soprattutto negli ultimi due mesi, ha ridotto spazi democratici, sospeso libertà fondamentali e scatenato una spirale repressiva.

La scintilla è stata l’eliminazione del sussidio al diesel, misura che colpisce duramente contadini, trasportatori e comunità indigene. Contestualmente, Noboa ha annunciato una drastica riduzione dell’apparato statale: da venti ministeri si passa a quattordici e da nove segreterie a sole tre, con il licenziamento di 5.000 funzionari. Alcune fusioni hanno destato particolare allarme: il Ministero della Donna e dei Diritti Umani, ad esempio, è stato inglobato da quello del Governo, suscitando la denuncia delle organizzazioni femministe che parlano di arretramento storico.

Di fronte a tali decisioni, la società si è mobilitata con un paro nacional che ha riunito movimenti indigeni, sindacati, studenti e settori popolari. Il Governo ha scelto però la via della repressione: coprifuoco, militarizzazione delle città, arresti arbitrari e uso sproporzionato della forza con multiple violazioni dei diritti umani già registrate. La Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador) ha denunciato l’uccisione di Efraín Fuerez, comunero di Cuicocha colpito a morte durante le manifestazioni a Cotacachi. Questo episodio si aggiunge a una lunga serie di aggressioni contro difensori sociali e ambientali, dentro una logica di criminalizzazione sistematica.

La persecuzione ha toccato anche i vertici della leadership indigena. Leonidas Iza, ex presidente storico della Conaie, è stato ripetutamente oggetto di procedimenti giudiziari, campagne di delegittimazione e, nell’agosto scorso, di un attentato a cui è sopravvissuto. Il messaggio è evidente: il movimento indigeno, che con la Costituzione di Montecristi del 2008 era stato riconosciuto come pilastro della democrazia plurinazionale, viene oggi trattato come nemico interno da neutralizzare con ogni mezzo.

Nel frattempo, le carceri continuano a trasformarsi in scenari di massacri. L’ultima strage a Esmeraldas ha causato 17 morti e conferma l’incapacità dello Stato di garantire diritti minimi alle persone private della libertà. Noboa ha deciso di concentrare la gestione delle prigioni e del sistema ECU-911 sotto il Ministero dell’Interno, accentrando ulteriormente potere. Parallelamente, ha intensificato i suoi attacchi alla Corte Costituzionale e spinge per una nuova Assemblea Costituente che sostituisca la Carta del 2008, considerata in tutta la regione latinoamericana come un punto di svolta per i diritti collettivi e ambientali.

Non meno grave è l’assedio contro media comunitari e organizzazioni sociali: conti bancari congelati, restrizioni arbitrarie, intimidazioni. TV Micc, voce delle comunità, è stata colpita direttamente nel quadro di una strategia che appare sempre più chiara: ridurre al silenzio ogni spazio di dissenso, trasformando il diritto di protesta in reato.

La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione e l’Ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani ha sollecitato l’apertura urgente di un dialogo tra Governo e organizzazioni sociali e indigene. Noboa però si è mostrato sordo a ogni appello, rifiutando sistematicamente la concertazione e preferendo esibire fermezza davanti al Fmi e alla comunità finanziaria. Lo sciopero nazionale (ancora in corso) e la repressione brutale di uno Stato che brutalizza i cittadini mostra che quella che si dispiega in Ecuador non è una crisi passeggera, ma un modello che unisce ricette neoliberiste a un autoritarismo crescente. Un modello che restringe spazi democratici, perseguita i leader sociali e governa attraverso la paura e la repressione sospendendo lo Stato di diritto.

È questo il volto politico che Noboa ha mostrato dopo la sua rielezione: una gestione del potere che privilegia la verticalità e l’imposizione, negando il dialogo sociale e minando la legittimità stessa delle istituzioni che non può controllare direttamente.

In questo momento, ciò che è in gioco non è solo la stabilità di un governo, ma la sopravvivenza di un progetto democratico, plurinazionale e fondato sulla giustizia sociale. Un progetto che l’escalation di violenza delle bande criminali aveva già messo a dura prova e che sta ricevendo un colpo mortale proprio da chi era stato chiamato a difenderlo. Di fronte a questo scenario, la società ecuadoriana ha risposto ancora una volta con coraggio, mostrando che non è disposta a rinunciare alle conquiste raggiunte, ma l’esito resta incerto.

Ora che la lotta al crimine organizzato non può più servire come paravento, possiamo vedere il vero volto Noboa, un volto che ricorda purtroppo i tempi più bui della regione.

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Il Fatto Quotidiano

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