Superman troppo pro migranti per i fan di Trump? L’eroe è sempre stato dalla parte degli oppressi
- Postato il 10 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Negli Stati Uniti si è riaccesa una polemica che dice molto del clima culturale e politico attuale: l’ultimo film di James Gunn dedicato all’Uomo d’Acciaio è finito nel mirino di alcuni commentatori di Fox News e di ambienti vicini al mondo MAGA, accusato di rappresentare un Superman “pro-migranti”. Il film, appena uscito nelle sale (9 luglio), aveva già fatto discutere nei mesi scorsi per i temi suggeriti dai trailer, che sembravano ruotare attorno al ruolo che il supereroe prova a ritagliarsi – pur attraverso il filtro della sospensione dell’incredulità – nella tesissima situazione che, in America e altrove, circonda le questioni relative ai flussi migratori e al diritto internazionale.
Tuttavia, anche qualora si trattasse di un Superman “politicizzato”, sarebbe davvero una forzatura ideologica? O, forse, Superman è sempre stato – fin dalle origini – non solo un campione degli oppressi, ma anche il simbolo per eccellenza del migrante, sospeso tra due mondi: la casa perduta di Krypton e quella adottiva del Pianeta Terra?
Tanto per cominciare, Superman è stato creato da figli di migranti. Jerry Siegel e Joe Shuster provenivano da Glenville, sobborgo di Cleveland abitato in prevalenza da afroamericani e da figli di immigrati europei di religione ebraica. La stessa origine del personaggio è intrisa di tematiche migratorie: il padre Jor-El, consapevole dell’imminente distruzione di Krypton, affida il suo unico figlio a una navetta di salvataggio che lo porterà sulla Terra, dove verrà accolto dagli amorevoli coniugi Kent, cresciuto all’insegna di valori come tolleranza, accoglienza e compassione. Ma non finisce qui.
Nel 1938, nonostante il tono fiabesco delle primissime storie, Superman mostrava già un’anima critica verso il sistema: tra attacchi al mondo produttivo, giudiziario e immobiliare americano, emergeva con chiarezza l’intento di Siegel e Shuster di farne un difensore degli ultimi, e non dello status quo. Le sinossi di Action Comics #2, #3, #8, #9, #10 e #13, facilmente reperibili online, testimoniano questa impostazione. Non sorprende quindi che una parte del mondo pro-governativo oggi reagisca con ostilità a una figura nata per mettere in discussione proprio l’autorità e i privilegi consolidati.
Anche quando, con il successo del serial radiofonico, Superman divenne un emblema della cultura americana e venne investito di una funzione propagandistica legata all’“American Way of Life”, l’essenza del personaggio rimase radicata nei valori originari di libertà e giustizia. Intorno al 1960, in inserti realizzati con il National Social Welfare Assembly, Superman invitava i bambini americani a superare i pregiudizi e a fare amicizia con i figli dei profughi di guerra, portandoli simbolicamente nei campi per rifugiati per mostrare loro in quali condizioni vivessero. La sua identità migrante continuava ad emergere, riflessa sia nella sua storia che nelle intenzioni dei suoi creatori.
Nel corso dei decenni, Superman ha riflesso le fasi politiche della società americana, passando da posizioni progressiste negli esordi ad accenti più conservatori, soprattutto negli anni Cinquanta e Ottanta, in sintonia con le preoccupazioni della classe media che ne scriveva le avventure.
Nel 1989, lo sceneggiatore Roger Stern affrontò nuovamente il tema migratorio in Action Comics #641, raccontando la vicenda dei profughi del Qurac, uno Stato fittizio mediorientale il cui regime era crollato anche grazie all’intervento di Superman. I rifugiati, approdati negli Stati Uniti, venivano però accolti con intolleranza e violenza da parte di gruppi xenofobi. Di fronte a tanta ostilità, Superman, spinto anche dal senso di colpa, interveniva con forza ma anche con amarezza, lasciando emergere il suo lato più umano e vulnerabile: “Siamo una Nazione di migranti. Se facciamo un salto indietro di qualche generazione, scopriremo che ognuno di noi proviene da qualche altro posto […] Rifletteteci, ve ne prego. Non voglio perdere un altro mondo a causa dell’odio”.
Un altro momento simbolico arriva nel 2011 con la storia breve “L’incidente”, pubblicata in Action Comics #900, scritta da David S. Goyer. In questa storia, Superman prende una decisione destinata a far discutere: rinuncia alla cittadinanza americana per riaffermare l’indipendenza della propria missione umanitaria, dopo essere stato accusato di ingerenza per aver partecipato a manifestazioni pacifiche contro regimi stranieri. La scelta, fortemente simbolica, rappresentava la rottura con una visione limitata e nazionalistica del personaggio, ormai sempre più percepito come una figura globale. Certo, Superman parlava americano e operava per lo più negli Stati Uniti, ma le minacce che affrontava e i valori che incarnava lo proiettavano ben oltre la dimensione nazionale.
Per molti, questa storia sanciva formalmente ciò che era già evidente da tempo: Superman apparteneva ormai a chiunque credesse nei valori che rappresentava, indipendentemente dalla cittadinanza. Le successive rettifiche editoriali non cancellarono il peso di quella scelta. Semmai, confermarono che nel XXI secolo, rimanere fedele a se stesso poteva significare diventare scomodo, persino per una parte del proprio pubblico.
Tornando poi al discorso dei flussi migratori, ancora nel 2021, in tempi decisamente più recenti, sempre sulle pagine di Action Comics lo sceneggiatore Phillip Kennedy Johnson ha ideato una saga in cui un Superman attempato e depotenziato, più vulnerabile che mai in un mondo che condivide sempre meno i suoi valori di solidarietà, decide contro tutto e contro tutti di partire alla volta di un pianeta lontano, per rovesciare una tirannia crudele e sanguinaria, basata sulla schiavitù e sullo sfruttamento degli innocenti. Sulla Terra, nessuno vuole accogliere i profughi di quel mondo violento e feroce, la solidarietà è ormai vista come un lusso, ma Superman non vuole lasciare nessuno indietro, non importa quante siano le sue chance di successo. Pur sapendo di non essere più invincibile, decide di non piegarsi di fronte alle logiche di un mondo che non riconosce più, e che sembra disconoscere i suoi valori di solidarietà e giustizia.
Al ritorno da questa avventura, Superman e sua moglie Lois adotteranno due giovanissimi profughi Phaelosiani, in fuga dal mondo sul quale erano stati schiavizzati. E questi sono solo gli esempi salienti della “politicizzazione” del personaggio nei decenni, soprattutto per quanto riguarda la politiche migratorie. Con buona pace dei detrattori, dunque, il punto non è che Superman sia “diventato” pro-migranti, quanto il fatto che sia sempre stato contro le ingiustizie, con una costanza desueta anche per un personaggio che tutto sommato esiste solo nella fantasia.
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