Zero euro da Palermo a giovani, famiglie e occupazione: una cecità politica e morale che fa molti danni
- Postato il 20 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Di fronte alla drammatica evidenza che il Comune di Palermo non ha destinato un solo euro ai giovani, alle famiglie e al sostegno dell’occupazione nel suo ultimo bilancio di previsione, non ci si può limitare all’indignazione passeggera o alle consuete dichiarazioni di circostanza. Si impone una riflessione più profonda, che tenga conto dei segnali che la città manda da tempo: dai quartieri sventrati dal disagio sociale ai centri storici svuotati di residenti e riempiti di turisti mordi e fuggi, fino alla cronaca nera che racconta di giovani vite perse o deformate dalla violenza.
Palermo sta divorando i suoi figli, e lo fa nel silenzio colpevole delle istituzioni. Non si tratta soltanto di una questione amministrativa. L’assenza totale di fondi per i giovani non è una mera omissione tecnica: è un atto politico che rivela una precisa gerarchia di priorità, in cui le nuove generazioni non esistono.
Lo affermano i dati ufficiali del Bilancio di Previsione 2024-2026, approvato e pubblicato dalla Ragioneria Generale del Comune di Palermo, da cui risulta che la Missione 06, Programma 02 “Giovani” presenta per l’anno 2024 una dotazione pari a zero euro. Nessuna risorsa è stata impegnata o stanziata, neppure a titolo programmatorio, per iniziative a favore dell’inclusione, della cittadinanza attiva o del protagonismo giovanile. Non vale a compensare questa assenza la generica enunciazione, contenuta nel Piano della Performance 2025, dell’intenzione di istituire un Ufficio per le politiche giovanili e un Polo giovanile comunale – nel documento, infatti, non è presente alcuna quantificazione economica o preallocazione finanziaria a sostegno di tali obiettivi, che restano privi di fondamento operativo e di reale priorità strategica – né ha posto rimedio il nuovo Bilancio di previsione, relativo al 2025-2027, appena approvato: anche in questo caso, infatti, non risultano stanziamenti di risorse in questi settori.
Come ho sostenuto nel mio recente libro sul processo penale minorile, dedicato anche alla figura di Francesca Laura Morvillo, magistrata assassinata da Cosa nostra e simbolo di un’idea alta di giustizia educativa, il trattamento riservato ai minori — specie se in condizioni di disagio — costituisce la cartina di tornasole della tenuta costituzionale di uno Stato. Palermo oggi, da questo punto di vista, è una città fuori asse, che infrange sistematicamente quel patto implicito tra generazioni che dovrebbe fondare ogni progetto di cittadinanza.
L’argomento più ricorrente utilizzato per giustificare questo vuoto è quello del blocco dei fondi. Sarebbe colpa dell’attesa per risorse che “devono arrivare”, della burocrazia romana, del patto di stabilità, dell’impasse nei trasferimenti. Ma si tratta di un alibi inconsistente, smontabile sotto più profili. Anche ammesso che vi siano ritardi nell’erogazione delle risorse statali, nulla impedisce a un Comune di impegnarsi sul piano programmatico, di indicare priorità politiche, di costruire — almeno sulla carta — interventi educativi, culturali e sociali da attivare non appena le condizioni lo consentano. Non lo si è fatto. E, nonostante Palermo non sia un caso isolato, altre città del Sud, pur in contesti di simile fragilità finanziaria, hanno scelto di difendere e rilanciare l’investimento sui giovani, assumendosi il rischio di scelte coraggiose. Perché, dunque, qui no?
I numeri della devianza minorile, delle dispersioni scolastiche, delle dipendenze e delle morti violente a Palermo gridano vendetta. Come è possibile che a fronte dell’incremento dei fenomeni di disagio — che anche la magistratura minorile e le forze dell’ordine denunciano con allarme — si decida deliberatamente di lasciare vuota la voce di bilancio che dovrebbe affrontarli? È forse accettabile che lo Stato intervenga solo quando il minore è ormai autore di reato, e non nel momento cruciale in cui potrebbe ancora essere destinatario di una misura rieducativa, di un sostegno culturale, di un’alternativa reale?
Chi ha scritto questo bilancio, o chi l’ha votato senza pretendere correzioni, ha rimosso l’evidenza di Palermo come laboratorio esplosivo di un futuro negato. Non è solo l’assenza di fondi il problema, ma il rifiuto implicito di vedere e riconoscere i giovani come soggetti di diritto. È una forma di cecità politica e morale che produce danni più gravi del dissesto finanziario. E che tradisce non solo i ragazzi, ma anche chi come Francesca Laura Morvillo ha creduto nella possibilità di una giustizia che non fosse solo punizione, ma costruzione condivisa di senso e futuro. Se oggi Palermo detiene il primato nazionale di centro storico svuotato di residenti, non è solo per effetto della rendita turistica o della deregulation sugli affitti brevi: è il prodotto diretto di una politica che ha espulso i giovani non solo dal mercato del lavoro, ma dalla rappresentazione stessa della città.
L’assenza totale di risorse nel bilancio comunale non è un inciampo tecnico, né un effetto collaterale dell’attesa di fondi: è una scelta deliberata, difesa con argomenti speciosi e con il silenzio dei più. I fondi non sono “bloccati”: è bloccata la volontà politica di assumerli come leva per ridisegnare le priorità urbane, sociali, culturali. E mentre si attende — non si sa bene cosa, né fino a quando — Palermo continua a produrre disuguaglianza, vulnerabilità e disaffiliazione, alimentando quel circuito di marginalità che sfocia, troppo spesso, nel reato. Ma non si dica più che “manca la prevenzione”: la verità è che la si è espulsa per legge di bilancio.
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