Lilli sogna la sinistra che piace alla gente che piace. Insomma, un animale mitologico!

  • Postato il 15 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Faceva una certa tenerezza venerdì scorso assistere al tentativo disperato di Lilli Gruber in versione Biancaneve nell’evocare il principe azzurro che – almeno nella favola rosa in cui svolazza – dovrebbe salvarci dai veleni della destraccia sovranista simil-populista nostrana: l’ologramma della sinistra gradita a quelli che piacciono (ossia la platea di Davos e delle varie simil-Trilateral; tipo il club Bilderberg fondato da David Rockefeller, dove la signora di Otto e mezzo può incontrare annualmente – nella calca miliardaria dei 140 soci, con una certa quota di svaporati – perfino i connazionali, non propriamente di prima scelta intellettuale, Matteo Renzi e John Elkan). La fata morgana di un partito riformista e insieme mercatista, democratico e al tempo stesso capitalista, che dovrebbe assicurare il governo dei migliori e – contemporaneamente – intercettare un suffragio popolare maggioritario.

Insomma, un animale mitologico (l’ircocervo?) capace di coniugare deferenza rispetto ai vigenti assetti sociali gravemente sperequati e prospettare mobilitanti soli dell’avvenire. Legge & ordine e insieme speranza. Insomma, una truffa bella e buona. Ma a cui l’onirica Lilli continua a prestare fede. E quindi invita nel suo salotto chi dovrebbe accreditare tale accrocco per tenere insieme tutto e il suo contrario.

Purtroppo la conduttrice ignora come mai siamo giunti a questo punto, che lei pretenderebbe di curare con miracolosi sciroppi politici. La verità che la selecta minoria pretende di occultare.

Tutto ha origine nel momento in cui l’Occidente fuoriesce dalla crisi del ‘29 dandosi un assetto inclusivo e progressista attraverso politiche sociali e distributive. L’ordine newdealista-welfariano contro cui, in una lunga notte durata decenni, il ceto plutocratico ha finanziato poderosi programmi di ricerca per invertire gli equilibri strategici che lo avevano messo sotto controllo. Grazie al contributo delle neuroscienze e delle tecnologie comunicative. La lunga elaborazione emersa con l’avvento del reagan-thatcherismo alla fine degli anni 70, predisposta per azzerare la narrazione dominante nel cinquantennio progressista e porre le basi di una nuova fase cinquantennale controriformista. Accompagnata dall’ascesa della neo-borghesia cafona, coincisa in Italia con l’avvento di Silvio Berlusconi.

Ma ciò che più conta è quanto avvenne nella sinistra all’imporsi del paradigma destrorso. E fu il contagio della lebbra psicosomatica chiamata Terza Via. L’idea che l’egemonia restaurativa fosse ineluttabile e che occorresse farne propri i principi-chiave: cercare il consenso del capitale finanziario e adottare le aspettative dei mercati come bussola programmatica. Si citano gli antesignani Clinton e Blair, ma praticamente tutte le nomenclature laburiste e socialdemocratiche occidentali hanno contratto il contagio, diventando automaticamente marginali in quanto subalterne alle controparti. Peggio: la trasformazione del personale politico in un’unica marmellata indistinta, che ripristina identità contrapposte solo nelle fasi elettorali mediante etichette mendaci e fasulle.

Una situazione in cui parlare di destra e sinistra non ha più senso; e – a maggior ragione – di ripristino del conflitto, visto che le ragioni sociali ed economiche del contendere sono state cancellate dall’omologazione blairiano-clintoniana. E quando la Gruber interpella i suoi testimonial intellettuali alla ricerca di una nuova sinistra vincente, questi devono imbastire manfrine diversive; visto i loro trascorsi di consulenti e promotori del buonismo imbelle (quanto caro all’establishment) terzaviario.

Da qui il confuso arrabattarsi della politologa di Palazzo Nadia Urbinati nella call su La7 di mercoledì 8 ottobre: “La centralizzazione del discorso politico impedisce qualsiasi confronto politico reale. In assenza di veri dibattiti prevalgono messaggi di tipo estetico e morale che influenzano profondamente la popolazione”. Questo per non dire che la politica è stata comprata un tanto al chilo dall’economico. Due giorni dopo le faceva eco nell’elusività il piacione a riposo Francesco Rutelli, sproloquiando di una presunta antitesi tra cambiamento reale e semplificazione, con la destra meloniana che vincerebbe per superiori capacità banalizzanti. Non perché la controparte si è imbarcata sulla scialuppa collusiva del tutti insieme appassionatamente, con l’ex sindaco capitolino in testa. Che per salvare la faccia ci propina questa zuppa insapore sul ruolo della politica nel cambiamento; quanto – in effetti – siamo semmai non a un inizio ma alla fine (del secolo americano); e da questo tunnel ancora non si intravvede la possibile uscita. Anche per il ruolo pompieristico svolto da intellettuali di Palazzo e politicanti piacioni.

Se ci sarà una salvezza, questa verrà da nuove generazioni non ancora infettate da lebbre opportunistiche, che si stanno facendo le ossa con la discesa in piazza per Gaza e i coraggiosi provocatori civili della Flottiglia.

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Il Fatto Quotidiano

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